Mario Draghi ha recentemente rilanciato il tema degli investimenti condivisi, seguendo le elezioni di Trump. L’ex capo della BCE sostiene che la nuova amministrazione americana favorirà le industrie tradizionali, settori chiave per l’esportazione italiana negli USA.
Draghi sottolinea l’importanza del supporto finanziario pubblico come reazione, ma rimarca che non sia l’unico aspetto cruciale, esprimendo il desiderio che l’Europa raggiunga una maggiore coesione. “Non possiamo più rimandare le decisioni; spesso abbiamo atteso un consenso che poi non è mai arrivato”, afferma Draghi, evidenziando la necessità di agire rapidamente di fronte alle sfide emergenti.
Anche recentemente, le borse europee hanno registrato una flessione, a differenza di quelle americane che continuano a segnare nuovi record. La fiducia degli investitori nelle prospettive economiche europee vacilla, una situazione che non può essere attribuita esclusivamente a Trump. Pochi giorni fa, il Financial Times mostrava un grafico che posizionava le principali economie mondiali in base al costo dell’energia elettrica, con Europa, Germania e Italia in posizioni svantaggiose. In un contesto di guerre commerciali, il problema non è tanto la presidenza Trump, quanto le difficoltà intrinseche dell’Europa, nonostante gli investimenti tedeschi nel settore delle rinnovabili.
L’unico modo per l’Europa di ridurre i costi energetici a breve termine è trovare fonti di gas naturale a basso costo e, a lungo termine, puntare sul nucleare. Recentemente, la Germania ha continuato a fare pressione a Bruxelles affinché il nucleare non venga incluso tra gli investimenti green incentivabili.
Il piano di investimenti europei, secondo l’ultimo bilancio del governo britannico, ha scosso il mercato dei titoli di stato inglesi. Gli investitori, ora più sensibili ai piani di spesa dei governi, mostrano nervosismo. Il piano europeo dovrebbe svilupparsi in un contesto di mercato complicato, con inflazione e rischi che rendono gli investimenti meno attraenti rispetto a dieci anni fa.
La Societe Generale ha recentemente informato i suoi clienti che la Germania ha ora il più alto surplus internazionale di investimenti netti, superando il Giappone. I tedeschi possiedono più asset internazionali di qualsiasi altro Paese, segno che l’appetito per investimenti interni è al minimo. La sfiducia nell’economia europea non è tanto colpa di Trump, quanto una consapevolezza del vicolo cieco economico in cui l’Europa si trova, con le sue esportazioni e la crisi energetica attuale.
Un piano europeo di investimenti in questo contesto mentre altri paesi abbandonano il green per ritornare all’industria, potrebbe non solo non salvare l’Europa, ma precipitarla ulteriormente. In un continente abituato al welfare, dal punto di vista tedesco significa investire risorse proprie in un piano industriale europeo senza precedenti da dopo la Seconda guerra mondiale, in un tentativo di perseguire un’illusoria unità europea mentre gli investitori osservano le debolezze strutturali del continente e gli approcci più pragmatici dei concorrenti.
Le famiglie europee si trovano di fronte a un dilemma. I piani che gli investitori rifiutano di finanziare diventano la destinazione forzata dei risparmi dei cittadini europei, spesso confusi dalle promesse e costretti, volenti o nolenti, a sostenere prodotti non competitivi. Ancora una volta, senza una rete di sicurezza, la perdita di risparmi in investimenti errati può solo generare rabbia e frustrazione.
Questo non è il momento per l’Europa di sognare o fare grandi salti in avanti, ma di adottare un realismo assoluto. È il contrario della narrativa prevalente. Per salvare l’Europa non si deve “procedere ad ogni costo”, anche senza consenso, ma fermarsi e valutare attentamente ogni euro speso, consapevoli che la ricchezza europea, al momento, è solo nominale e che i sogni sbagliati possono solo portare al crollo dell’Europa.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.