Dopo un periodo di stallo nelle operazioni nazionali in Italia e di attività transfrontaliere bloccate, a inizio settembre hanno preso il via importanti manovre nel settore bancario. In Spagna la BBVA ha avanzato su Banco Sabadell, in Francia la BNP lavorava su un’intesa con Axa Investment Managers, mentre in Italia le attese si concentravano su Unicredit. Il gruppo milanese ha finalmente rivelato le sue strategie, introducendo nuove ipotesi di fusione tra banche europee.
Unicredit ha da tempo pianificato movimenti strategici e quest’autunno ha concretizzato l’acquisizione del 21% del capitale di Commerzbank attraverso tre operazioni significative guidate da Andrea Orcel.
Inizialmente, Unicredit ha acquistato una quota del 4,5% di Commerzbank direttamente dal governo tedesco, che cercava di ridurre la sua partecipazione dal 16%, in una maniera simile a quanto avvenuto con il governo italiano e Mps. Questa transazione, avvenuta tramite un processo pubblico e concordato, si è conclusa l’11 settembre. Successivamente, Unicredit ha raddoppiato la sua quota acquistando ulteriori azioni sul mercato per un investimento totale di circa 1,5 miliardi di euro.
A distanza di due settimane, Unicredit ha annunciato di aver raggiunto il 21% del capitale di Commerzbank attraverso opzioni di acquisto, esprimendo l’intenzione di espandersi ulteriormente fino al 29,9%, soglia che obbligherebbe Unicredit a lanciare un’offerta pubblica di acquisto. La BCE ha sessanta giorni per approvare o meno questa operazione, che sembra in linea con le direttive per un mercato unico europeo dei capitali.
L’operazione è stata possibile grazie alla solida base patrimoniale di Unicredit, rafforzata dai risultati degli ultimi due anni e da un ampio capitale disponibile per investimenti. Attualmente, il valore di mercato di Unicredit è quasi di 60 miliardi di euro, con le azioni che hanno raggiunto i 40 euro il 30 settembre, quintuplicando il valore durante la gestione di Orcel.
In questo contesto, in Germania si sono verificate varie pressioni da parte dei sindacati, della direzione aziendale e dei partiti politici, che hanno evidenziato le tensioni e le contraddizioni legate all’operazione. L’annuncio di Unicredit di essere diventata il maggiore azionista di Commerzbank con il 21% ha spinto il governo tedesco, con il cancelliere Olaf Scholz, a definire l’iniziativa come “un atto ostile”, segnando un netto passo indietro dovuto al disagio nel governo per la mossa italiana, portando alla decisione di interrompere la vendita di ulteriori quote di Commerzbank, di cui lo stato detiene ancora il 12,5%.
La reazione negativa del titolo di Commerzbank alla Borsa di Francoforte dopo le dichiarazioni di Scholz ha messo in luce il divario tra le logiche di mercato, favorevoli a un’integrazione italo-tedesca, e le posizioni politiche incentrate sul “sovranismo” bancario. Tuttavia, la decisione dello stato tedesco di uscire dal capitale della banca è vista positivamente anche da figure importanti come il ministro liberale delle Finanze Christian Lindner.
Nonostante la resistenza del governo tedesco, Orcel ha continuato ad accumulare azioni in borsa, raggiungendo il 21% di Commerzbank attraverso derivati, senza necessitare l’approvazione di Francoforte. Questa mossa è un segnale forte verso Berlino, puntando su quel segmento dell’opinione pubblica e imprenditoriale tedesca favorevole all’operazione. Anche la BCE di Christine Lagarde sembra propensa a dare il via libera, considerando le fusioni transfrontaliere vantaggiose e desiderabili per consolidare il progetto di unione bancaria, essenziale per rafforzare l’Europa.
Unicredit è presente in Germania dal 2005, non attraverso una fusione, ma come azionista di riferimento di HypoVereins Bank, assicurandosi così una significativa presenza in molti paesi dell’Europa Orientale. Con Commerzbank, si creerebbe il primo polo bancario tedesco e un importante attore nel panorama bancario europeo.
L’operazione ha ricevuto attenzioni anche da Moody’s, che potrebbe rivedere al rialzo il rating dell’istituto di Piazza Gae Aulenti se l’acquisizione sarà completata, e da BlackRock, che è il terzo maggiore investitore sia di Unicredit (con il 7,019%) sia di Commerzbank (con il 7,34%).
Bettina Orlopp, a capo della gestione finanziaria e neo Ceo di Commerzbank, ha recentemente annunciato i nuovi obiettivi della banca tedesca, che prevede un incremento dell’utile a 3 miliardi di euro entro il 2027, con l’intenzione di aumentare i rendimenti e restituire ancora più capitale agli azionisti, con un tasso di payout superiore al 90%.
Per il mercato e gli analisti, l’unione bancaria europea tra Unicredit e Commerzbank è solo questione di tempo, anche se saranno necessari ulteriori incontri per concretizzare l’operazione. Le due banche hanno dimensioni simili, e resta da vedere se l’integrazione avverrà tramite una partnership leggera, sinergie commerciali o una vera fusione industriale e societaria.
L’operazione Unicredit-Commerzbank possiede anche una dimensione politica e sociale, oltre che finanziaria, e si inserisce nelle analisi del Rapporto Draghi “Il futuro della competitività europea”, presentato ufficialmente il 10 settembre scorso. Il rapporto sottolinea l’importanza di una forte unione bancaria in Europa come chiave per il successo del continente e, attraverso di esso, della prosperità di ogni singolo paese. Una maggiore integrazione ridurrebbe la complessità di fronte alle sfide globali. L’Europa, essendo un’economia aperta, non può permettersi di erigere barriere protezionistiche.
Il rapporto offre una visione critica dello stato dell’economia europea e delle prospettive di crescita, evidenziando come le aziende europee siano di dimensioni nettamente inferiori rispetto a quelle americane, un divario evidente anche nel settore bancario che limita la loro capacità di finanziare grandi investimenti, essenziali per migliorare la competitività. JP Morgan, la più grande banca degli USA, ha una capitalizzazione di mercato superiore a quella delle dieci maggiori banche europee messe insieme. Le cause del declino, secondo il rapporto, includono la frammentazione normativa, l’iper-regolamentazione e la complessità delle procedure.
Il rapporto critica anche il mancato completamento dell’unione bancaria e dei mercati dei capitali, essenziale per mobilizzare risorse private nei settori chiave dell’economia. Molte finanze pubbliche degli Stati membri, già pesantemente indebitati, non sono in grado di sostenere gli investimenti necessari per stimolare la crescita. Anche se la vigilanza bancaria è ora di competenza della BCE, mancano ancora elementi cruciali come un sistema comune di assicurazione dei depositi, che richiederebbe una condivisione dei rischi bancari tra gli Stati membri (risk sharing). Per quanto riguarda la risoluzione delle crisi bancarie, l’autorità unica a livello europeo non dispone di una garanzia finanziaria di ultima istanza, complicando così la gestione delle crisi di grandi banche sistemiche.
È quindi necessario armonizzare ulteriormente le normative nazionali, come quelle relative alle procedure fallimentari, e centralizzare i poteri di vigilanza e regolamentazione all’Esma (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), che attualmente ha solo funzioni di coordinamento dei regolatori dei singoli Stati membri. La frammentazione dei mercati lungo linee nazionali, dovuta a regimi diversi, rappresenta un forte limite per le banche che vogliono impegnarsi in operazioni transfrontaliere. L’operazione di Unicredit, in caso di acquisizione, dovrà quindi considerare anche gli aspetti negativi e le inefficienze dovute a strutture normative non omogenee.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.