Il Nuovo Incarico di Teresa Ribera nel Governo di Ursula von der Leyen
Teresa Ribera, commissaria spagnola, è stata designata per uno dei ruoli più influenti nel prossimo esecutivo guidato dalla presidente Ursula von der Leyen, ricoprendo anche la posizione di vicepresidente esecutivo insieme a Raffaele Fitto. Secondo alcuni osservatori, la Ribera potrebbe rappresentare un alter ego per la presidente, un ruolo simile a quello che Frans Timmermans aveva nel team precedente. La sua nomina, tuttavia, ha suscitato perplessità da parte di alcune figure politiche, come quelle del partito popolare europeo. Nonostante le controversie, la leale alleata del primo ministro Sánchez si appresta a diventare una delle figure di spicco della Commissione. Anche Fitto avrà un ruolo centrale, gestendo le deleghe per la coesione, il PNRR e le riforme, che permetteranno all’Italia di controllare una vasta quantità di fondi destinati alle regioni più svantaggiate, come il Mezzogiorno, parlando di un totale che si aggira intorno ai mille miliardi di euro.
Alla luce delle scelte di von der Leyen, sembra che Ribera abbia ricevuto il maggior riconoscimento. Questo scenario offre spunti di riflessione, soprattutto dopo l’eliminazione di figure che avrebbero potuto oscurarla, come l’ultimo caso di Thierry Breton. Ora, la questione cruciale è se Ribera possiederà la forza e l’indipendenza necessarie per perseguire l’ambizioso Green Deal che molti si aspettano. Di recente, la presidente del Consiglio Meloni ha sottolineato l’importanza di questo tema durante un incontro con Confindustria, evidenziando come sarà centrale per la prossima Commissione. Sarà interessante vedere se Ribera seguirà l’approccio ideologico e radicale di Timmermans o se opterà per una strategia più pragmatica, che consideri anche le necessità del settore produttivo. Nonostante la sua fama di intransigenza sugli argomenti ambientali, sembra che Ribera sia più aperta rispetto al suo predecessore riguardo ai costi diretti e indiretti della transizione ecologica.
La visione di Ribera per il futuro dell’agenda europea potrebbe essere vista come un “Green Deal 2.0”: un’azione decisa e continua sul clima e sull’ambiente che funga da fondamento per una maggiore prosperità economica. A differenza del Green Deal attuale, sembra che Ribera voglia dare più spazio agli aspetti sociali, compensando le persone per i costi delle iniziative climatiche e sfruttando la transizione per promuovere equità e inclusione sociale. Pone un’enfasi particolare sulla transizione degli Stati membri verso l’energia pulita, vedendola come un’opportunità per costruire un’Europa moderna e ridurre le disuguaglianze sociali.
Nata il 19 maggio 1969, figlia di una filosofa e di un professore di medicina, Teresa Ribera è cresciuta a Madrid con le sue quattro sorelle. Sposata con Mariano Bacigalupo, ha studiato giurisprudenza e scienze politiche all’Università Complutense di Madrid. Dopo un inizio di carriera nel ministero dei Lavori pubblici, è diventata Segretario di Stato per i cambiamenti climatici con José Luis Zapatero e, successivamente, ha diretto l’IDDRI a Parigi, partecipando alle discussioni sull’Accordo di Parigi. Nel 2018, è stata nominata ministro della Transizione ecologica da Pedro Sánchez, promuovendo politiche ambientali significative in Spagna.
A Bruxelles, ha giocato un ruolo chiave nelle riforme del mercato elettrico e ha promosso l’idrogeno verde. Tuttavia, la sua gestione ha suscitato anche critiche, specialmente da parte degli agricoltori. Le sfide future includono il dibattito sulla vendita di auto a combustione interna, con il ministro Urso che propone alternative meno restrittive. Ribera, nota per la sua fermezza, ha mostrato una posizione rigida anche durante la Cop29, opponendosi fortemente all’uso degli idrocarburi e chiudendo molte miniere di carbone in Spagna.
Nonostante la sua inclinazione a non scendere a compromessi, all’interno della Commissione, dove deve collaborare con commissari del Ppe, Ribera dovrà probabilmente trovare un equilibrio tra le sue idee e quelle più moderate, vista la nuova composizione politica dell’UE, più orientata al centrodestra. Questo potrebbe portare a un approccio più bilanciato e meno ideologico nella transizione ecologica.
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