Domani assisteremo a un diluvio di dati che, si auspica, potranno illuminare la situazione economica italiana. L’ISTAT fornirà aggiornamenti sugli occupati e disoccupati e dettagli sul rendimento del terzo trimestre, da cui potremo intuire come affronteremo i mesi invernali. Seguiranno notizie poco incoraggianti sulle nuove immatricolazioni automobilistiche e non mancherà l’indice PMI del settore manifatturiero, elaborato secondo le valutazioni dei responsabili degli acquisti. Non roviniamo la sorpresa ma è prevedibile che le maggiori delusioni provengano proprio dal settore manifatturiero, soprattutto per quanto riguarda i mezzi di trasporto. In attesa di Godot, impersonato da Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istituto di statistica, è il momento di fare un bilancio attraverso una rapida panoramica.
Abbiamo evidenziato più volte l’esistenza di una crisi industriale acuta. È sorprendente che il Governo non l’abbia ancora prioritizzata, specie alla luce della nuova Legge di bilancio da cui, teoricamente, dovrebbero scaturire delle soluzioni, seppur limitate. Il Ministero dell’Industria (precedentemente noto come Mimit) ha avviato numerose discussioni di crisi, ma con scarsi risultati concreti. Alla fine dell’estate, si contavano 58 tavoli aperti per circa 60.000 lavoratori a rischio. Con l’autunno, abbiamo assistito alla conferma della crisi nel settore automobilistico, con Stellantis e Volkswagen tra i più colpiti, ma anche Renault, BMW e Mercedes non stanno certo meglio.
Le linee di produzione di Mirafiori sono ferme a causa della stagnazione nel mercato dei veicoli elettrici. Lo stabilimento di Cassino ha registrato un crollo della produzione del 48%. Anche Bosch, leader mondiale nella componentistica auto, ha annunciato eccedenze di personale: nello stabilimento di Bari, specializzato in componenti per motori endotermici, 700 dipendenti su 1.500 sono considerati in surplus.
La Piaggio si prepara a un Natale difficile per più di mille lavoratori. Il gruppo turco Beko, che aveva acquisito Whirlpool (con cinque stabilimenti), sta affrontando difficoltà ovunque, avendo chiuso una fabbrica in Gran Bretagna e una in Polonia, e prevede di ridurre il personale in Italia di quasi la metà: 1.935 esuberi su 4.000 dipendenti. ThyssenKrupp, che in Germania ha annunciato tagli significativi, a Ferrara intende ridurre di 500 unità il numero di lavoratori nello stabilimento Berco, che produce macchinari cingolati.
Non intendiamo lamentarci incessantemente della manifattura. Non tutti i settori vanno male allo stesso modo, anche se alcuni importanti comparti italiani come macchinari e tessile sono fortemente colpiti. In ogni caso, la locomotiva che aveva trainato l’economia dopo la crisi ora è ferma, come dimostrano i dati degli ultimi cinque mesi. L’ultimo report ufficiale sul fatturato indica una diminuzione mensile dello 0,3% e annuale del 5,8% a settembre. Domani scopriremo i dati di ottobre.
È vero, le esportazioni sono in calo e molti temono che l’imposizione dei dazi da parte di Trump possa aggravare la situazione. Nei primi nove mesi dell’anno, il calo complessivo delle esportazioni è stato dello 0,7%. Considerando le merci vendute al di fuori dell’Unione Europea, il bilancio è ancora positivo, ma il trend è in decisa discesa, specialmente verso il Medio Oriente e gli Stati Uniti. L’ISTAT ha segnalato un rallentamento del mercato interno, un punto cruciale dove la situazione economica si intreccia con la politica economica.
La Legge di bilancio non è recessiva, come sostiene l’opposizione, ma certamente non è strutturata per evitare una recessione, che potrebbe essere importata dalla Germania, dagli Stati Uniti con i loro dazi doganali, o da tassi di interesse troppo elevati.
A novembre, l’indice dei prezzi nell’Eurozona è aumentato dopo molti mesi di calo. Siamo solo al 2,3%, ma potrebbe essere sufficiente per far rialzare la testa ai falchi. Durante l’ultima riunione del 12 dicembre, si attende un taglio di mezzo punto, spinto in particolare dall’Italia e dalla Francia. “Ci si aspetta che l’inflazione aumenti nei prossimi mesi per poi diminuire”, ha rassicurato Christine Lagarde.
L’Italia sta performando meglio di altri: solo 1,4% di aumento a novembre rispetto all’anno precedente, mentre l’inflazione mensile è rimasta stabile. Questo rappresenta un punto a favore per Fabio Panetta, ma allo stesso tempo indica che la domanda interna è debole, i consumatori spendono meno, chi può preferisce risparmiare, mentre molti devono ancora recuperare il potere d’acquisto perduto negli ultimi due anni di inflazione.
L’Italia ha bisogno di una spinta. Le scelte di bilancio non offrono ampi margini, ma un approccio più audace nel taglio della spesa corrente avrebbe potuto liberare fondi per gli investimenti. Non possiamo solo sperare in aiuti statali, l’impulso deve venire dal basso, dal mercato, dalle imprese, dall’aumento dei salari. I salari rimangono bassi e compressi. Qui è necessario più coraggio da parte di imprenditori e sindacati, con un patto per la produttività che permetta un aumento significativo delle retribuzioni.
Abbiamo perso un’opportunità nel biennio di forte crescita, non perdiamo l’occasione ora che l’inflazione è sotto controllo.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.