Bce e Germania ostacolano ancora l’Europa: il PIL in pericolo!

 

Mentre si attende il formale insediamento della nuova Commissione Europea, annunciata martedì dalla Presidente von der Leyen, previsto non prima di dicembre, il settore economico lancia segnali di allarme. Dall’indagine periodica di Federmeccanica emerge che il 38% delle aziende considera la possibilità di dover cessare le attività, influenzate anche da un calo delle esportazioni, soprattutto verso i paesi dell’Unione Europea. Di conseguenza, figure come Luigi Campiglio, professore di Politica Economica presso l’Università Cattolica di Milano, criticano l’azione della BCE che la scorsa settimana ha ridotto i tassi di interesse di soli un quarto di punto, ritenendola insufficiente.

 


 

 


 

 

Non sarebbe stato più efficace un taglio di mezzo punto percentuale?

 

Un taglio più marcato, di mezzo punto, avrebbe sicuramente avuto un impatto maggiore sulla situazione economica attuale. Inoltre, non è chiaro se ci sarà presto un ulteriore taglio dello 0,25%. Anche se molti lo considerano ovvio, non si può dare per scontato.

 


 

 


 

 

 

La BCE continua a valutare i dati per prendere decisioni…

 

Certo, ma i dati attuali sull’inflazione non sembrano giustificare alcuna preoccupazione immediata.

 

Pur tuttavia, la BCE prevede un aumento verso fine anno, con l’obiettivo del 2% che dovrebbe essere raggiunto nella seconda metà del 2025.

 

Questa non è prudenza, ma un ritardo che può trasformarsi in agonia.

 

La BCE mira forse a garantire che, tramite questa stagnazione o addirittura recessione, l’inflazione non aumenti e così facendo possa centrare il suo obiettivo?

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A questo punto, potrebbe essere opportuno rivedere lo statuto della BCE, ispirandosi a quello della Federal Reserve, che considera non solo l’inflazione ma anche l’occupazione, prestando maggiore attenzione allo stato dell’economia reale.

 


 

 


 

 

Quanto ha influenzato la decisione della BCE il timore di un divario con i tassi USA che potrebbe spostare i capitali dall’Europa agli Stati Uniti?

 

I capitali si spostano non solo per differenze nei tassi di interesse, ma anche per differenze nella redditività delle economie. Da questo punto di vista, la decisione della BCE non sembra essere stata la migliore.

 

Sarebbe sufficiente un ulteriore abbassamento dei tassi per risollevare l’economia europea dalla stagnazione?

 

Intervenire sui tassi di interesse può sicuramente influire sull’economia, in particolare sulla capacità di accesso al credito da parte di famiglie e imprese. È però essenziale che a questa politica monetaria si affianchi una politica industriale efficace da parte dei governi nazionali e dell’UE. L’esempio della Germania è significativo: sta chiaramente frenando l’economia europea. Non a caso, il nostro export verso l’UE è in calo, segnale che i vantaggi dell’integrazione europea stanno diminuendo.

 

 

Come si può stimolare la ripresa dell’economia tedesca, che è la più grande dell’UE?

 

Le difficoltà della Germania non sembrano derivare dai costi del lavoro. È necessaria una spinta imprenditoriale, attualmente molto debole. Sembra che la Germania non riesca a mostrare sui mercati internazionali quella capacità di innovazione che dovrebbe caratterizzare la sua industria. Storicamente, la Germania ha sempre saputo innovare per prima, per poi essere imitata dagli altri, ma ora sembra aver perso questa capacità. Ad esempio, il settore delle auto elettriche è ancora dominato da produzioni americane e cinesi, senza una risposta altrettanto energica dalla Germania.

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La Cina beneficia anche di un quasi monopolio sulle materie prime necessarie per le batterie delle auto elettriche.

 

Si dovrebbe riflettere sul perché l’Africa, invece di essere teatro di conflitti armati con armi esportate anche dai paesi europei, non possa diventare un partner con cui cooperare, dato che è ricca di quelle materie prime necessarie per le batterie.

 

(Lorenzo Torrisi)

 

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