Tutto accadde in una sola notte. Potrebbe sembrare il titolo di un film, ma è la pura realtà. Infatti, tra il mercoledì e il giovedì, mentre noi ci godevamo il meritato riposo, è successo veramente di tutto.
Elon Musk ha rassegnato le dimissioni. Le formule ufficiali parlano di un periodo di servizio al paese concluso e di ringraziamenti a tutta l’amministrazione, ma è evidente che la celebre manovra di riduzione della spesa pubblica, paragonabile alla motosega di Non aprite quella porta, era soltanto un diversivo. I numeri del deficit del primo trimestre sono eloquenti. Ma non è tutto, quella stessa notte abbiamo assistito a un inaspettato colpo di scena. Il tribunale federale del commercio di Manhattan ha annullato completamente il pacchetto di tariffe reciprocamente imposte dalla Casa Bianca. È stata cancellata una pantomima lunga almeno quattro mesi, sostituita da una ancora più grande.
La ragione? Le spiegazioni fornite per giustificare quella politica commerciale d’emergenza non solo sono insostenibili, ma superano anche i limiti statutari di tali misure, mettendo in pericolo l’economia nazionale. In altre parole, è un segreto di Pulcinella. Donald Trump ha fatto di tutto per provocare questo rigetto. Lo desiderava ardentemente e lo ha cercato con il necessario parossismo, trasformandolo in un vero e proprio Big Bang.
L’aumento continuo delle aliquote su tariffe e dazi verso la Cina non era un mero esercizio stilistico per stabilire chi aveva più potere, scusate il linguaggio poco raffinato ma efficace. Era, in realtà, una serie di indizi lasciati appositamente dall’assassino per farsi catturare, come le cravatte di Gian Maria Volontè in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
E così, durante la notte, i futures su Wall Street sono schizzati in alto come tappi di spumante a Capodanno. Simile al cane di Pavlov che segue il ritmo.
Ora, osservate questo grafico. Chi e come rifinanzierà il potenziale buco da 250 miliardi in tariffe doganali (già spesi o contabilizzati alla maniera della Gpu di Nvidia, a dispetto del Doge) creatosi con la sentenza della Federal Trade Court, dato il record di entrate che le esportazioni europee e cinesi di aprile e maggio avevano garantito all’economia americana?
L’infaticabile e loquace Segretario al Tesoro, Scott Bessent, potrà ora emettere titoli del Tesoro attraverso aste straordinarie, spingendo il rendimento dei decennali oltre il 6% e innescando una nuova crisi del basis trade, dopo quella di inizio aprile? E se così fosse, quanto tempo impiegherà il mercato a valutare l’impossibilità di un roll-over sostenibile su quei mitici 7 trilioni di debito in scadenza entro fine anno, provocando un effetto domino sui premi di rischio sovrani?
Forse Elon Musk, avendo avuto notizia della sentenza imminente, ha scelto di lasciare la nave prima che le scialuppe iniziassero a scarseggiare e le vendite di Tesla al di fuori degli USA crollassero a zero? Forse è per questo che mercoledì – come vi avevo già raccontato nell’articolo di ieri – l’asta del Bund a 15 anni ha registrato un bid-to-offer di 5 rispetto al 2,7 precedente, ma ha anche dovuto offrire il 2,85% contro il 2,80%?
Qualcuno, come al solito, sapeva o almeno intuiva? Oppure, come sostengo dall’inizio, l’intero playbook degli ultimi tre mesi era stato concepito fin dall’inizio con l’unico scopo di forzare la mano alla Fed? Parafrasando Game of Thrones, possiamo quindi affermare che, volente o nolente Powell, il printer è in arrivo, un altro Qe si sta preparando a entrare in scena?
Inoltre, attenzione alla possibile continuazione e incremento di un mini-rally. Perché l’odore di bull trap, la trappola rialzista che poi causa crolli facendo la gioia di chi vende di nascosto e si posiziona al ribasso mentre tutto intorno l’orchestra suona, già oggi si avverte da lontano.
Ora guardate ai rendimenti obbligazionari a breve termine. Perché se quelli a lungo termine ci mostrano il persistere dell’avversione alla duration rispetto alla detenzione di debito di un Paese che ci ha appena offerto uno spettacolo politico-economico del genere, peggio di qualsiasi declassamento ufficiale del rating, all’interno della curva dei 5 anni – e soprattutto sotto i 12 mesi – si registrano le tensioni sotterranee di chi teme un congelamento del mercato interbancario durante i bassi volumi di luglio e agosto. E di una Fed che potrebbe non reagire abbastanza velocemente a una crisi del collaterale.
Quindi, se da qui all’estate le aste di T-Bill e Treasuries fino a 60 mesi saranno un successo e mostreranno bid-to-cover record, attenzione a non fraintendere i segnali. Potrebbe trattarsi di una sana e precauzionale paura, e non di rinnovato entusiasmo.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.