Ci sono coloro che celebreranno un altro pericolo evitato. E, soprattutto, celebreranno l’invulnerabilità delle banche centrali. Altri, dopo un periodo di silenzio, emergeranno per criticare coloro che avevano previsto il crollo del mercato obbligazionario giapponese.
Credete a me, è tutto previsto. Tuttavia, esultare per un rapporto di offerta e copertura di 2.2 rispetto al 2.9 dell’asta precedente e, in particolare, per la più bassa richiesta dal luglio 2024 registrata ieri nell’asta dei titoli a 40 anni indica solo due possibilità: o non si è capito nulla o si agisce in malafede.
Per raggiungere questo risultato e una riduzione di 35 punti base nel rendimento del titolo a 30 anni, martedì la Bank of Japan ha dovuto attuare una svalutazione dello yen in doppia cifra, un processo che normalmente richiede mesi per non turbare il mercato finanziario. Non poche ore.
La Banca ha stampato quantità enormi di moneta per comprare obbligazioni a lungo termine e ridurre artificialmente i rendimenti prima dell’asta. Inoltre, il Ministero delle Finanze ha aumentato la pressione, convocando i Primary Dealers per il 20 giugno, di fatto segnalando al mercato un cambio di strategia nelle emissioni, con una riduzione dei titoli a lungo termine e un aumento di quelli a breve termine. Tutto questo per ottenere la domanda più debole dal luglio 2024.
Nondimeno, in attesa dell’asta del 5 giugno, il titolo a 30 anni dopo l’emissione del quarantennale aveva già visto un ritorno di 10 punti base nel suo rendimento. La manovra della Banca ha avuto un effetto di breve durata, simile a un placebo più che a un vero farmaco per una malattia grave.
Il punto più critico, nonostante agenzie come Bloomberg e Reuters non possano più ignorare la realtà e parlino apertamente di una domanda deludente e di problemi persistenti, è illustrato da un grafico. Mentre a Tokyo si cercava di mascherare la situazione con trucchi da prestigiatore, probabilmente qualche banca o assicurazione giapponese era costretta a raccogliere collaterale in dollari per evitare un’imbarazzante figuraccia della sua banca centrale. Questo è evidenziato dallo spread sui Treasuries negoziati overnight.
Inoltre, è tempo di prestare attenzione perché stiamo veramente giocando col fuoco. Senza questo imponente sforzo di manipolazione, di cosa parleremmo oggi? Probabilmente del crollo del precario mercato obbligazionario giapponese che, presto, diventerà motivo di scherno tra i difensori dello status quo monetarista. Considerando gli strumenti sempre più limitati a disposizione della Bank of Japan per guadagnare tempo e il fatto che una bid-to-cover così bassa si traduce in un downgrade del rating, vi invito a considerare il costo nascosto di questa politica rischiosa.
Il prezzo del riso è aumentato del 98,4% in aprile, la maggiore crescita mensile dal 1971. E questo segue un aumento del 92,1% a marzo. Parliamo del riso in Giappone, un bene essenziale comparabile all’aria che respiriamo. Non sorprende, quindi, che l’inflazione CPI ad aprile sia salita al 3,5% su base annua, un incremento rispetto al 3,2% di marzo. Cinque mesi consecutivi sopra il 3%.
Parallelamente, nel primo trimestre di quest’anno, l’economia giapponese si è contratta dello 0,7%, segnale di una stagflazione. Con il titolo a 40 anni che ha attirato la domanda più bassa in un anno. Dopo che la banca centrale ha praticamente esaurito le risorse per stampare yen. E il Tesoro si prepara a una svolta nelle emissioni, ammettendo implicitamente la propria impotenza e la lotta contro il tempo.
Tutti questi eventi si sono conclusi e collegati in meno di 48 ore in Giappone. Potete tirare un sospiro di sollievo, ognuno è libero di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Di credere che il denaro si stampi e il debito si neutralizzi. Ma la sabbia nella clessidra sta finendo. E la velocità con cui scende, aumenta.
Desiderate un esempio più vicino a noi? Ecco. Ieri è stata anche l’asta del Bund tedesco a 15 anni. La domanda era 5 volte l’offerta, rispetto al 2.7 dell’asta precedente, un grande successo. Peccato che, nonostante l’interesse di numerose istituzioni a finanziare Berlino fino al 2040, si sia dovuto offrire un rendimento del 2,85% rispetto al 2,80% dell’asta precedente. Se fosse stato un Btp, sarebbe già un segnale di allarme. Per un Bund pluriennale, è un vero e proprio campanello d’allarme sulla riva del mare.
In un contesto in cui chi cerca un rifugio sicuro nell’obbligazionario, sicuramente non si rivolge ai Treasuries USA, a meno che non sia per titoli a breve termine, utilizzati come collaterale per quasi tutte le operazioni di rifinanziamento. E con il Giappone nelle condizioni descritte. Da qui a fine anno, inoltre, gli USA devono rifinanziare 7 trilioni di debito.
Qualcosa di strutturale deve necessariamente cambiare. E l’asta del Bund ci conferma questo stato di cose, per ora silenziosamente. Ma con i bassi volumi estivi, forse, ci sarà uno scossone che ci sveglierà forzatamente dalla letargia.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.