Quando ci troviamo nel mezzo di una crisi, quali previsioni possiamo realisticamente formulare? Se si trattasse di una tempesta atmosferica, potremmo prevedere una sua conclusione entro un certo lasso di tempo, anche se resterebbero incertezze sui danni che potrebbe causare. Tuttavia, attualmente ci troviamo di fronte a una tempesta di natura economica, scatenata da una serie di fattori disomogenei e difficilmente quantificabili attraverso l’analisi delle precedenti crisi storiche.
Come è possibile allora stabilire previsioni economiche affidabili, come quelle richieste al Governo nel documento di finanza pubblica (Dfp), che ha sostituito il Def e rappresenta il primo passo del lungo processo di definizione del bilancio pubblico per l’anno successivo?
Quali impatti potrebbero avere sulla nostra economia le significative tariffe commerciali annunciate, imposte e poi sospese temporaneamente per tre mesi dall’amministrazione Trump? E quali conseguenze deriverebbero dall’aumento della spesa europea per la difesa? Infine, cosa comporterebbe il possibile, ma non certo, ritorno a una politica di finanza pubblica europea più rigida rispetto al periodo esteso del Covid e post-Covid?
Le incertezze sono numerose e provengono da molteplici direzioni, rendendo la redazione del Dfp un compito quasi completamente aleatorio. Sembra dunque una decisione saggia quella del Governo di ridurne l’ambito, l’orizzonte temporale e i contenuti.
Il documento approvato mercoledì dal Consiglio dei ministri, che segna il primo aggiornamento annuale sulla situazione dei conti pubblici e le prospettive di crescita, avrebbe dovuto includere anche linee guida su politiche di contenimento della spesa, correzione del quadro finanziario previsto e stabilizzazione del debito rispetto al PIL. Tuttavia, data la situazione turbolenta e la problematica di prevedere qualsiasi percorso futuro, il Governo ha optato per un approccio minimalista, evitando di delineare scenari sul tema molto delicato degli effetti delle tariffe di Trump, rapidamente adottate e sospese.
Anche gli effetti del piano di riarmo europeo, proposto dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, non sono stati presi in considerazione. Il quadro descritto si attiene solo al trend generale, senza avventurarsi nelle incertezze delle azioni correttive. Questa scelta susciterà probabilmente critiche da parte delle opposizioni parlamentari e forse dubbi nelle istituzioni interessate o con funzioni di vigilanza, ma sembra essere la più ragionevole. È un Dfp in stile Wittgenstein: “Ciò che si può dire, si può dire chiaramente; e di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”.
Il Dfp chiarisce che la crescita economica sarà modesta, solo metà di quella prevista l’autunno scorso: 0,6% per l’anno corrente, rispetto all’1,2% previsto in ottobre, con un leggero aumento previsto per il prossimo biennio: 0,8% sia nel 2026 che nel 2027.
Oltre alle incognite dei dazi, in senso ristrittivo, e del piano di riarmo, in senso espansivo, una terza incertezza riguarda l’attuazione della riforma del Patto di stabilità e crescita, introdotta nell’aprile dell’anno scorso. Secondo questa, dopo un anno di transizione, i paesi membri con finanze pubbliche problematiche dovrebbero adeguarsi correggendo i loro conti pubblici, soprattutto controllando la spesa secondo i piani di medio-lungo periodo, che per l’Italia hanno una durata di sette anni. Ma come si possono rispettare piani così a lungo termine in un contesto macroeconomico globale diventato così incerto anche nel breve termine, al punto da indurre a limitare le previsioni a soli due anni, eliminando il consueto terzo anno dal Dfp?
Da un lato, quindi, le nuove normative europee, stabilite in un periodo di relativa calma, richiedono di estendere l’orizzonte delle previsioni e degli impegni finanziari fino a sette anni, mentre dall’altro, l’incertezza globale crescente ha drasticamente ridotto il periodo di visibilità macroeconomica e comunque gettato un velo di incertezza sullo stesso. In questo scenario, l’unico aspetto relativamente tranquillo è che le finanze pubbliche rimarranno sotto controllo, con un rapporto deficit/PIL vicino all’obiettivo del 3%: 3,3% nel 2025, confermando il dato già indicato nel Piano strutturale italiano di medio termine, per poi ridursi al 2,8% nel 2026 e al 2,6% nel 2027.
Le prospettive meno positive, invece, riguardano il rapporto debito/PIL, almeno fino a quando non scompariranno gli effetti sulla cassa dei crediti derivanti dai bonus per l’edilizia, già registrati negli esercizi precedenti come deficit secondo il principio di competenza. In questo caso, la previsione del Def è che il rapporto debito/PIL aumenti ancora nel 2026, al 137,6% rispetto al 136,6% di quest’anno, per poi stabilizzarsi al 137,4% nel 2027. Questo, però, è l’eredità ben nota delle scelte errate fatte durante il periodo del Covid.
— — — —
Articoli simili
- FMI taglia PIL Italia a +0,4% nel 2025, Germania a zero. USA rallenta, Spagna e Russia eccezioni!
- Tassi e Inflazione: Come Incidono le Decisioni di Fed e BCE su Trump e il PIL
- Superbonus Dannoso: Come Aggrava il Debito Futuro dell’Italia!
- ITALIA: Nuovo Piano di Bilancio! Come l’Equilibrio tra Deficit e Debito Incide sui Tagli alle Tasse
- Gentiloni e Violini a Rimini 2024: “Europa tra Crescita e Incertezza”! Guarda la Diretta!

Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.