Superbonus Dannoso: Come Aggrava il Debito Futuro dell’Italia!

Nella sessione di venerdì scorso, il Consiglio dei ministri ha rivisto il Piano di bilancio strutturale a medio termine destinato all’Unione Europea, aggiornandolo in linea con le ultime correzioni alla contabilità nazionale pubblicate dall’Istat il 23 settembre. È importante ricordare che queste revisioni hanno principalmente portato a una rivalutazione del Pil nominale dell’Italia, con un incremento rispetto ai dati precedenti di 21 miliardi per il 2021, 34 miliardi per il 2022 e 43 miliardi per il 2023, raggiungendo quest’ultimo anno i 2.128 miliardi in termini nominali. Inoltre, per la prima volta dal 2007, l’anno prima della crisi finanziaria del 2008, il Pil reale ha superato i massimi storici.



Queste nuove cifre hanno naturalmente portato a una revisione al rialzo dei tassi di crescita economica del nostro Paese, e in particolare hanno permesso una significativa riduzione del rapporto debito/Pil, un indicatore chiave ai sensi del Trattato di Maastricht per la sostenibilità delle finanze pubbliche italiane. Questo rapporto, precedentemente al 137,3%, è stato ridotto di quasi tre punti percentuali, portandosi al 134,6%, leggermente superiore al 134,2% del 2019 pre-pandemia e ben al di sotto del picco del 154,1% registrato nel 2020, il primo anno di pandemia.



Che cosa possiamo imparare da questa riduzione? Il dato più rilevante è che il periodo quinquennale di elevati deficit pubblici, sia in termini assoluti sia in rapporto al Pil, causati dalle misure per fronteggiare il Covid-19, sembra non aver influenzato in modo significativo l’indicatore più importante per la finanza pubblica. Infatti, al termine del periodo pandemico, il rapporto debito/Pil è quasi tornato ai livelli pre-crisi.

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Come è stato possibile che deficit così elevati non abbiano avuto quasi effetti sul debito pubblico? La risposta sta in tre eventi concomitanti che hanno giocato a favore di questo indicatore:



– la prima è la forma a V della recessione causata dal Covid, con una ripresa quasi completa dell’economia in un breve lasso di tempo, a differenza delle due precedenti recessioni del 2008-2009 e del 2011-2013;

– la seconda è l’inflazione generata dalla crisi energetica, che ha aumentato il Pil nominale e ridotto il rapporto debito/Pil;

– la terza riguarda i Superbonus nel settore edilizio, che hanno avuto un impatto immediato sul deficit ma diluito nel tempo sul debito. A causa della trasferibilità dei crediti d’imposta derivanti dai Superbonus e della loro utilizzabilità da parte dei cessionari, Eurostat ha richiesto all’Italia di registrare tali crediti nell’anno di generazione, aumentando così i deficit. Tuttavia, il debito pubblico li contabilizza solo quando vengono effettivamente utilizzati per compensare le tasse dovute.

Questi tre fattori hanno quindi eliminato per ora il picco del rapporto debito/Pil causato dalla pandemia, riportandolo ai livelli del 2019, ma si prevede che il terzo fattore continui a influenzare negativamente nei prossimi anni. Come segnalato nel Documento di Economia e Finanza (DEF) dello scorso aprile, si prevede che il rapporto debito/Pil continui a essere influenzato dall’impatto delle compensazioni fiscali legate ai Superbonus, specie nel periodo 2024-2026, con un picco del 138,3% nel 2026, per poi iniziare una discesa in linea con i nuovi criteri europei che prevedono una riduzione media di un punto percentuale di Pil dopo l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo.

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Il piano aggiornato dal Consiglio dei ministri prevede una durata di sette anni invece di quattro, confermando per l’intero periodo una crescita media della “spesa primaria netta”, un indicatore chiave monitorato dall’Unione Europea, attorno all’1,5%, in linea con le indicazioni della Commissione (specificamente, 1,3% nel 2025, 1,6% nel 2026, e 1,9% nel 2027, per i primi tre anni del periodo).

Per quanto riguarda il rapporto disavanzo/Pil, la stima per quest’anno è del 3,8%, inferiore al 4,3% previsto nel DEF di aprile, con l’obiettivo del governo di ridurlo al 3,3% nel 2025 e al 2,8% nel 2026, rientrando così entro il limite del 3% e uscendo dalla procedura per deficit eccessivo.

Il comunicato stampa del governo afferma che “Il Piano include un importante insieme di riforme e investimenti, alcuni dei quali in continuità con il Pnrr”, e conferma “la determinazione del governo a lavorare per il miglioramento della competitività dell’economia italiana, promuovendo una crescita sostenibile e contrastando il declino demografico. Inoltre, si conferma il supporto al potere d’acquisto delle retribuzioni e l’impegno nell’attuazione della legge delega per la riforma fiscale, inclusa l’intensificazione degli sforzi di recupero delle entrate fiscali”.

Esploreremo più in dettaglio queste tematiche in un prossimo articolo. Il piano sarà ora inviato alle Camere e successivamente esaminato dalla Commissione europea per la sua valutazione.

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