Una Grecia priva della Troika e, cosa ancora più importante, che non attira l’attenzione. Tuttavia, adesso i problemi emergono chiaramente. E non parliamo di semplici problemi, ma di intricati grovigli, paragonabili ai dreadlocks di Bob Marley.
Cosa rimarrebbe di un sistema di spesa pubblica come quello francese con un taglio di 60 miliardi di euro nel 2025, tra riduzioni di budget e nuove imposte? Solo rovine. E coloro che vi raccontano di un’epoca in cui anche i più ricchi soffriranno, prevedendo un’imposta patrimoniale esorbitante per i magnati francesi, vi stanno ingannando. Tagliare 60 miliardi richiede decisioni drastiche e generalizzate, non misure selettive e ideologiche. Il governo francese ha parlato chiaro, basando le proprie stime su un tasso di crescita, da ora in poi poco realistico, dell’1,1% e su un’inflazione in calo all’1,8% rispetto al 2,1% di quest’anno, il che significa avere un alleato in meno nella gestione e ammortamento del debito.
Scusate il cinismo, ma una domanda sorge spontanea: di che colore saranno i gilet questa volta? Se un semplice taglio alle agevolazioni sul carburante ha scatenato una rivolta che ricorda la presa della Bastiglia per numerosi sabati consecutivi, cosa possiamo aspettarci da una simile macelleria sociale? Inoltre, considerando che l’economia dell’UE è in rallentamento ufficiale. Mercoledì Isabel Schnabel ha menzionato la probabile necessità di interventi monetari più rapidi ed efficaci di fronte a un’inflazione che cala più velocemente del previsto. Il problema dei gilet persiste, non tanto per il colore, quanto per l’uso strumentale in una nuova stretta su diritti e dissenso. Dove non è arrivato il Covid, potrebbe giungere la fase terminale del suo esperimento sociale. Le molotov sono molto televisive, le lettere di licenziamento e l’attesa per una TAC o un alloggio popolare molto meno.
La Francia si appresta a vivere il suo momento dei loden, il suo 2011. Tuttavia, a differenza del nostro, c’è il timore che possa diventare una scuola di navigazione per un continente i cui conti sono già compromessi, con una demografia che aggrava debiti e deficit fino alla metastasi dell’insostenibilità strutturale.
Nessuno parla di questa Grecia senza Troika. Scomparsa. E non a caso l’Eliseo si occupa di tutto tranne che del proprio Paese. Dopotutto, il presidente ha perso le elezioni. Lasci che siano altri a indossare il grembiule del macellaio. Lui si prepara già a reprimere e pacificare, quando il lavoro sporco sarà in atto. I sindacati e le piazze saranno sopraffatti e i mercati sapientemente incitati nel loro ruolo di arbitri di una politica che ha bisogno di alibi e capri espiatori come dell’aria per respirare. Pensate che l’Italia, alle prese con una manovra tutt’altro che semplice, non subirà conseguenze da una simile condizione?
Guardate questo grafico: le spese annualizzate per la cosa pubblica a luglio hanno superato gli 815 miliardi. E, secondo Bloomberg, Giorgia Meloni ha promesso a Bruxelles un deficit al 2,8% del PIL nel 2026. Siamo oltre il 7%. E la crescita è sotto l’1%.
Non credete ancora alla cura francese che inevitabilmente diventerà un protocollo socioeconomico almeno per l’ex Club Med dell’Unione? Guardate quest’altro grafico/tabella, che mostra le attuali partecipazioni azionarie di BlackRock in aziende del nostro Paese. Controllate, partecipate e non.
All’inizio della settimana, Giorgia Meloni ha incontrato il CEO del colosso USA, Larry Fink, a Palazzo Chigi. Lasciamo da parte i complotti. Non servono. Sono sufficienti i numeri di quella tabella. E, soprattutto, basta leggere le dichiarazioni rilasciate da Fink il giorno seguente durante una conferenza a Berlino: BlackRock punterà tutto sulle infrastrutture, il vero mercato del futuro prossimo, pronto a investire ingenti risorse e capitali. Ora, collegate i puntini. Non sarà che i festeggiamenti per la nomina di Raffaele Fitto a Commissario Ue delegato al Pnrr siano correlati alla tentazione di subappaltare a soggetti come BlackRock quel cumulo di progetti, fondi, interessi e prestiti onerosi rapidamente trasformatosi da paradiso a potenziale patibolo dei conti pubblici?
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.