Il conflitto tra Israele e Iran potrebbe avere ripercussioni negative sull’economia. L’investimento come leva per la crescita
La tensione tra Israele e Iran si intensifica, e ciò potrebbe riflettersi negativamente sulla nostra economia, specialmente considerando l’aumento delle esportazioni italiane verso la regione araba.
“Analizzando i numeri del 2024 – ci spiega Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e professore di economia industriale presso l’Università Cattolica di Milano -, l’export italiano verso Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar raggiunge i 16,3 miliardi di euro, una cifra che supera gli esporti verso la Cina (14,7 miliardi). Questi sono mercati significativi, che non sembrano essere eccessivamente influenzati dal conflitto tra Iran e Israele o da una possibile escalation. Più preoccupante è il rischio che lo stretto di Hormuz venga bloccato, influenzando l’approvvigionamento di materie prime energetiche e causando un incremento dei loro prezzi e, di conseguenza, dell’inflazione”.
Le incertezze legate ai dazi già esistenti non fanno apparire roseo il panorama generale…
I conflitti, come quello attuale in Ucraina, distraggono gli operatori economici in un contesto già non brillante, aggravato dalle revisioni al ribasso della crescita nei paesi sviluppati, a causa anche dell’incertezza sulle politiche commerciali dell’Amministrazione americana.
Confcommercio evidenzia una debole propensione alla spesa delle famiglie. Potrebbe la situazione internazionale influenzare ulteriormente i consumi?
Esiste questa possibilità, ma non è la mia principale preoccupazione, dato che i consumi stanno contribuendo in modo significativo al Pil, in un contesto di crescita moderata a cui si stanno adeguando la maggior parte dei paesi dell’UE e gli USA. Inoltre, l’indice PMI composito di maggio per l’Italia (52,5) è stato il più alto degli ultimi 13 mesi ed è risultato il migliore tra le quattro principali economie dell’Eurozona.
Qual è la causa di questa performance economica italiana?
I consumi sono sostanziali, ma attualmente la vera spinta alla nostra economia proviene dagli investimenti, che hanno visto una crescita anche nel settore delle macchine negli ultimi due trimestri. Un altro dato rilevante in un periodo di discussioni su bassi salari e povertà nel paese è l’indicatore di grave deprivazione materiale, basato su 13 differenti segnali: se nel 2015, dopo l’austerità del 2011-13, 7.386.000 italiani erano in questo stato, nel 2024 sono 2.710.000, il 4,6% della popolazione. Per confronto, in Francia l’anno scorso il 6,6% della popolazione era in grave deprivazione materiale, in Spagna l’8,3%, in Germania il 6,2%.
Che implicazioni ha questo miglioramento in un decennio?
Questo indica un rafforzamento del tessuto sociale nel nostro Paese che, insieme al recupero del potere d’acquisto, può sostenere i consumi, anche se non possiamo aspettarci che da soli possano portare a una crescita del Pil del 3% l’anno, soprattutto perché la popolazione è in diminuzione.
Ci sono rischi di un aumento dei costi energetici che già gravano sulle nostre aziende, come sottolineato di recente all’Assemblea annuale di Confindustria?
Questo rischio interessa in particolare i settori che consumano molta energia, come il ceramico e il siderurgico, che sono anche vulnerabili alle conseguenze di possibili dazi americani.
Come può l’Italia cercare di stimolare la crescita in un periodo così incerto?
Un Paese con una popolazione in calo dovrebbe puntare a potenziare il ciclo degli investimenti, anche per cercare di rafforzare la propria industria in un momento in cui la Transizione 5.0 non sta dando i risultati sperati. Sarebbe opportuno, quindi, un piano simile a Industria 4.0, focalizzato sull’uso dell’intelligenza artificiale nelle aziende.
(Lorenzo Torrisi)
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.