La Germania sta attraversando un periodo di lento declino, influenzata negativamente da elementi esterni che hanno colpito sia il suo sistema produttivo che l’ordine ordoliberista. Quest’ultimo è stato imposto da una burocrazia tecnocratica che domina l’intera Unione Europea, arricchita da un pizzico di pianificazione alla francese e di neocameralismo americano.
Questi sistemi hanno influenzato profondamente la strategia di sopravvivenza della Germania dopo che il suo tessuto produttivo e il morale sono stati danneggiati dalla divisione post-seconda guerra mondiale, causata dalla vittoria sovietica.
Sì, è stata una vittoria sovietica; Stalin e le sue truppe furono i primi a raggiungere Berlino e l’idea di Stalin sul futuro della Germania era essenzialmente la stessa di Morgenthau, che da Europa scriveva a Washington che “la Germania dovrebbe essere ridotta a un campo di patate”. Anche francesi e scandinavi desideravano lo stesso, potendo finalmente sopraffare il loro eterno rivale dopo circa due secoli di conflitti sanguinosi in Europa. Queste guerre, come la “Guerra dei sette anni” nel primo Settecento, avevano trasformato il corso della storia mondiale, espellendo la Francia dalle Due Americhe e elevando la Gran Bretagna a dominatrice globale.
Gli odi europei affondano le loro radici in tempi molto remoti… La colonizzazione britannico-puritana in Nord America, che eventualmente si ribellò all’Impero Britannico, portò alla nascita di quella vasta isola tra due mari e due emisferi, che due secoli dopo avrebbe vinto due guerre mondiali europee: gli Stati Uniti.
Oggi, con l’aggressione russa all’Ucraina e la guerra antisemita nel Grande Medio Oriente, questa redistribuzione globale del potere ha raggiunto un punto di non ritorno. Davanti a essa si è formata una potenza che sembra invincibile, per demografia e armamenti.
L’isola tra i due mari e i due emisferi non sa e teme di non sapere come affrontare la Cina, che ha costruito un dominio senza egemonia, caratterizzato da un unipolarismo intermittente, che destabilizza la potenza dell’intero sistema internazionale e permette l’emergere di piccole nazioni altrimenti senza storia in un mondo turbato dagli squilibri continui. Con questo sbandamento, gli USA, come un elefante in un salotto mondiale, distruggono anche i potenziali alleati.
Oggi è l’imperialismo russo che gli USA intendono ridurre definitivamente all’impotenza, perché senza questa impotenza non sono in grado di fermare l’avanzata inarrestabile del gigante demografico, militare ed economico cinese – dall’Indopacifico all’Europa – passando dal Grande Medio Oriente con la neutralizzazione delle monarchie petrolifere e l’alleanza organica con l’Iran.
La strategia perseguita dagli USA nel periodo post-gorbacioviano è stata interrotta e “stracciata” dal capitalismo europeo franco-italiano alleato alla Cina in una funzione anti-tedesca e anti-USA. Questo era il risultato della rivolta nazionale russa, prima nazionale e poi nazionalistica dei putiniani, una rivolta contro gli alleati predatori che aveva impedito a Eltsin di vendere la patria russa al capitalismo anglosassone, calpestando valori e coscienze storiche che neanche lo stalinismo era riuscito a corrompere con la sua terribile perfidia. Questa strategia, documentata dalla storia del Valdai Club, sarà probabilmente argomento di un libro scritto un giorno da qualche agente dei servizi segreti, reali o presunti. Da allora, sia la Russia sia gli USA hanno perso il controllo dell’andamento della potenza mondiale, rimasta senza timoniere o timonieri cooperanti.
Pensate: la Cina è entrata nella WTO nel 2001 ed è stata riconosciuta dall’UE come economia di mercato; la Russia ha dovuto attendere, dopo essere stata spogliata di quanto possibile senza suscitare troppi rancori tra gli oligarchi che persero la partita della spartizione. Ha atteso fino al 2011 e c’era la possibilità, che fu esplorata, di farla aderire all’UE e alla NATO. Fu respinta, tuttavia, dalle contraddizioni inter-capitalistiche nel libro dei sogni, per essere poi sostituita da una guerra di sanzioni e di accerchiamento, alla quale rispose la storica reazione stragista russa. Questo è un arco di tempo estremamente significativo per la storia mondiale e su cui dobbiamo ancora fare luce.
La reazione stragista ha radici nei tempi proto-zaristi dei primi secoli, continua con le stragi zariste e poi staliniane e putiniane nel Caucaso, culmina con i delitti di massa contro polacchi e ucraini durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. La guerra di aggressione russa all’Ucraina è solo l’ultima reazione russa all’accerchiamento, che si manifesta attraverso lo stragismo.
Lo stesso è accaduto anche nel Grande Medio Oriente in Siria, nei territori curdi dell’Iraq e della Turchia e soprattutto in Iraq, dove anche gli USA hanno perso la testa (il fatidico 2003), isolandosi dagli alleati storici europei francesi e tedeschi, distruggendo le armate e le polizie segrete irachene, invece di reclutarle e farne degli amici combattenti. L’Afghanistan non è stato altro, con il ritiro USA, che il risultato di tale follia, condensatasi poi in un grumo di ritirata non strategica.
Oggi, nell’UE, la tragedia continua con la crisi economica ciclica del tardo-capitalismo. Ma le stesse regole pro-cicliche e non anti-cicliche dell’UE si ampliano a dismisura, fino a far morire di fame per la scarsità degli investimenti e per i tagli strutturali, gli autori del dramma: alla Germania si vuole far fare la fine della Russia di Eltsin, privandola di ogni risorsa e cacciandola dalla concorrenza mondiale. E a contribuire a farlo è sempre una presidenza UE di matrice tedesca…Prodigi della lotta politica nazionale che ancora determina i giochi a Bruxelles e a Strasburgo…
L’arma usata, però, non è solo più quella “modello Morgenthau”, ma quella della sovraproduzione cinese riversata sui mercati europei, da un lato, e, dall’altro, della chiusura dei mercati cinesi alle produzioni tedesche e dei suoi fornitori primari, tra cui spicca l’Italia.
La conseguenza? Eccola: la lenta morte per inedia di un intero continente, di cui pare non accorgersene nessuno, se non gli operai, i dipendenti delle imprese che chiudono, gli artigiani e le imprese familiari che sono la vitalità profonda di ogni sistema economico, i malati che non hanno i denari per pagarsi le cure nella sanità pubblica europea, ormai distrutta, ecc.
Basti così, per ora.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.