È noto che gli Stati Uniti sono contrari all’utilizzo di prodotti cinesi nelle infrastrutture 5G. Di conseguenza, la Commissione Europea ha escluso due giganti del settore, Huawei e ZTE, da queste attività. Le ragioni di sicurezza, spesso citate per giustificare tale esclusione, e i pericoli di possibili intrusioni, si mescolano talvolta con la retorica di una guerra tecnologico-commerciale in atto. “La diffusione di componenti cinesi è massiccia a livello globale – afferma Antonio Capone, professore di telecomunicazioni al Politecnico di Milano – e questo anche per via dei loro costi inferiori. Tuttavia, in Occidente, l’impiego di tali dispositivi è relativamente limitato”. In Italia, per esempio, si usano solo in alcune parti della rete, specificamente quelle dedicate alla gestione dei segnali radio, che non influenzano la gestione dei dati. La questione della sicurezza esiste, ma è principalmente legata a possibili interventi esterni alla rete. La questione dell’hardware cinese deve essere vista sotto una luce diversa: ciò che realmente dovrebbe preoccupare è la dipendenza tecnologica dalla Cina, cercando di evitare una situazione di monopolio per certi prodotti. La Germania, che conta il 59% della sua rete composta da prodotti cinesi, ha in programma di eliminarli, anche se potrebbero ancora essere utilizzati, a condizione che siano soggetti a controlli da parte di software occidentali.
I componenti di aziende cinesi come Huawei e ZTE sono davvero così dominanti nella rete 5G?
In Italia, certamente no. Una parte della rete Wind 3 e una parte della rete Vodafone utilizzano apparati cinesi, ma esclusivamente per la gestione del segnale radio; per tutto il resto, in particolare per quanto riguarda la parte più critica della rete, il core network, i componenti provengono da aziende occidentali. In alcuni Paesi non c’è traccia di componenti cinesi, perché hanno adottato le restrizioni imposte dagli Stati Uniti che vietano l’acquisto di tali tecnologie dalla Cina, ma ci sono anche nazioni dove la presenza è più marcata, come la Germania, che riporta un 59% di apparecchiature cinesi. Tutto dipende dal contesto nazionale: per esempio, la Francia non ne utilizza affatto. Comunque, si parla solo della parte che gestisce il segnale radio, non di quella dei servizi di rete.
In Germania hanno programmato l’eliminazione nei prossimi anni dell’uso della componentistica cinese. È vero?
Una legge è stata approvata, ma è necessario esaminarla attentamente. Per il 2029 è previsto l’abbandono dei componenti cinesi anche per la parte radio; tuttavia, ciò non avverrà se gli apparati cinesi saranno sottoposti a controllo mediante software di terze parti, una pratica che è già in corso. Le piattaforme che gestiscono la parte radio stanno diventando aperte a livello globale: è probabile che in Germania gli apparati cinesi continueranno a essere presenti, ma saranno monitorati da software occidentali. Si sta lavorando per neutralizzare anche l’ultimo potenziale rischio che potrebbe derivare dalla parte radio.
Ma perché la presenza di componenti cinesi dovrebbe essere motivo di preoccupazione, anche dal punto di vista della sicurezza?
Il divieto statunitense fa parte della guerra tecnologica con la Cina. In alcuni casi, la sicurezza è soltanto un pretesto per alimentare questo conflitto; in altri, i pericoli sono effettivamente reali, ma come in tutte le guerre, spesso i messaggi inviati hanno una connotazione propagandistica. Il vero pericolo, come è stato per il gas russo, è la dipendenza tecnologica: questo sì che potrebbe essere un problema reale. È fondamentale assicurarsi che ci siano produttori occidentali capaci di soddisfare le esigenze della rete in ogni momento. Non è consigliabile avere una presenza predominante di componenti cinesi per motivi di diversificazione della rete.
Il tema della sicurezza, dunque, è fondato o no?
È essenziale riconoscere che ci sono due componenti principali della rete: quella dei servizi, dove si trovano i dati e dove non ci sono produttori cinesi, e quella radio. Solo in quest’ultima, in alcuni Paesi, continuano a esserci componenti prodotti dai cinesi, comunque all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. Non esiste quindi un pericolo reale per i dati, ammesso che ci sia mai stato. Nella parte radio ci sono solo i segnali trasmessi dagli apparati; da questo punto di vista, non c’è pericolo. Il rischio potenzialmente riguarda qualcuno che può interferire con le reti da remoto. Ci sono problemi di sicurezza legati a potenziali attacchi esterni, ma questi non derivano da chi ha prodotto gli apparati; è una questione completamente diversa.
Ma l’Occidente possiede la tecnologia utilizzata dalla Cina per la rete 5G?
Certamente. Ericsson e Nokia sono i due unici produttori occidentali che dispongono di una tecnologia avanzata paragonabile a quella cinese. C’è anche Samsung, che è sudcoreana, ma è un po’ indietro. Da parte cinese, Huawei e ZTE sono i due giganti del settore.
Non esiste quindi il rischio che questa situazione diventi un campo di battaglia tra cinesi e Occidente?
No. È stato così un tempo, con Trump; poi ci sono stati incontri che hanno ricollocato il problema in una dimensione di competizione commerciale più ragionevole. Dopo novembre vedremo. La legge tedesca è piuttosto “soft”: mira a mostrare una posizione ferma, ma in realtà sta solo costringendo i produttori cinesi a far controllare i loro apparecchi da software di terze parti, il che è positivo in assoluto, poiché costringerà anche i produttori occidentali a fare lo stesso. L’apertura della rete offre maggiori garanzie a tutti.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Articoli simili
- Allarme Finanza: Cina e Settore Lusso Minacciano il Ceto Medio!
- Il super-investimento cinese di 127 miliardi di euro in immobili sconvolge il mercato azionario
- Cina: Xi Preferisce la Crisi Economica al Declino del Partito! Scopri Perché
- CRISI AUTO: Errori dei Costruttori e UE Minacciano gli Stabilimenti!
- Auto in Crisi: Come le Penali e i Target UE Minacciano Aziende e Lavoro
Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.