Giorgia Meloni ha ricevuto oggi un elogio significativo da JD Vance, vicepresidente degli Stati Uniti, che l’ha descritta come un’abile mediatrice tra l’Europa e l’America. Un incontro casuale a tre, che ha coinvolto anche Ursula von der Leyen durante la cerimonia di inaugurazione del pontificato di Papa Leone XIV, ha migliorato notevolmente l’immagine della premier, contrariamente a quanto suggerito dalla “foto di Tirana”. In quella occasione, i leader presenti, tra cui Macron, tentavano di collegarsi con Trump tramite il cellulare, insieme a Zelensky, Starmer, Merz e Tusk, mostrando un apparente isolamento internazionale di Meloni.
La situazione a Palazzo Chigi dimostra una realtà più complessa, con Meloni che dispone di un’ampia libertà di manovra. I leader più “volenterosi” hanno escluso la discussione sull’invio di truppe europee in Ucraina, allineando così le loro posizioni a quelle del governo italiano, che ha sempre escluso tale opzione.
Quindi, le mosse dei quattro leader europei non erano coordinate con quelle della Casa Bianca, un fatto mitigato dalla rapidità con cui Trump è noto per cambiare le sue posizioni. Questo dinamismo è evidente ora che cresce a Washington la percezione che Putin non desideri realmente la pace, un punto di vista che riavvicina Washington a Kiev.
Tuttavia, Trump sembra quasi obbligato a sostenere Zelensky per non cedere al Cremlino, mentre la cautela di Meloni trova maggior corrispondenza e può essere sfruttata nell’altro tavolo di discussione, quello sui dazi.
La premier italiana ha calibrato attentamente le sue parole, ricordando che la competenza in materia di commercio spetta esclusivamente alla Commissione europea, e che l’Italia è più che pronta a promuovere un dialogo benefico per l’Occidente. Un nuovo inizio, ha spiegato.
Questo rappresenta un notevole guadagno politico, che von der Leyen non può che apprezzare, dato che lei stessa aveva trovato difficoltà a stabilire canali di comunicazione. Si tratta del primo contatto diretto di alto livello tra l’amministrazione USA e la burocrazia europea, giunto dopo 40 giorni infruttuosi dei 90 giorni di sospensione dei superdazi decisi da Trump, mentre gli accordi con Cina e Gran Bretagna erano già stati conclusi.
Meloni ha utilizzato la sua posizione neutrale rispetto ai cosiddetti “volenterosi” per portare avanti la missione di dialogo che si era prefissata alla vigilia di Pasqua, quando era stata ricevuta da Trump nello Studio Ovale. I problemi relativi alle tariffe sono significativi, e non vengono nascosti, ma era necessario iniziare il dialogo da qualche parte, e questo è iniziato proprio da Palazzo Chigi, anche grazie alla presenza di Vance e del segretario di Stato Marco Rubio.
Proprio Rubio, a San Pietro, ha parlato con Zelensky, e il loro abbraccio caloroso dimostra che la posizione italiana è tutt’altro che debole. Sabato è stato il neo-cancelliere tedesco Merz a riconoscere l’importanza dell’Italia nella questione ucraina e la necessità di un formato diplomatico che la includa.
Macron sembra essere l’unico a non comprendere questa dinamica: nonostante la sua debolezza interna, continua a rivendicare per la Francia un ruolo di leadership nella politica estera e di difesa dell’Unione, ignorando Meloni. È difficile credere che sia estraneo all’esclusione di Meloni dalla chiamata iniziale richiesta anche da Merz e Starmer a Trump, prima della telefonata programmata tra la Casa Bianca e il Cremlino nel pomeriggio di oggi, lunedì. Un’azione che ricorda la “foto di Tirana”, anche se inefficace, poiché sabato Meloni ha avuto una conversazione telefonica con lo stesso Trump.
Meloni e Macron non si sono mai apprezzati e si sono ostacolati a vicenda durante questi due anni e mezzo di governo di centro-destra in Italia. Questo braccio di ferro danneggia entrambi, ma sembra destinato a continuare. La premier non è disposta ad accettare un ruolo subalterno e si sente molto più stabile rispetto al presidente francese, nonostante abbia meno alleati nell’Unione. È quindi fondamentale non esacerbare troppo lo scontro. Ma il legame con Trump è quello su cui Meloni spera di poter contare per tenere a bada l’Eliseo e gli altri.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.