Donald Trump e Vladimir Putin hanno fornito un resoconto positivo della loro recente conversazione telefonica, avvenuta dopo l’ultima del 18 marzo. Tuttavia, il presidente russo ha escluso la possibilità di un immediato cessate il fuoco in Ucraina o di un incontro diretto con il presidente degli Stati Uniti, pur mostrandosi aperto alla redazione di un memorandum con Kiev per un “futuro accordo di pace” che preveda un cessate il fuoco condizionato all’attuazione di accordi specifici.
In Europa, Putin ha adottato una strategia di attesa, riproponendo la richiesta di Mosca di eliminare le “cause radicate del conflitto”. Una novità è rappresentata dall’entrata del Vaticano nel dialogo diretto tra le due superpotenze.
Abbiamo discusso con Aldo Ferrari, professore ordinario di lingua e letteratura armena e storia dell’Eurasia all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore del programma di ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’ISPI di Milano.
Trump ha proposto che il Vaticano ospiti i negoziati di pace. Qual è la sua opinione su questa proposta?
Non penso che il Vaticano possa realmente influenzare la situazione tra due paesi non cattolici come Russia e Ucraina. La soluzione a questo conflitto dovrebbe essere cercata altrove.
Mosca ha insistito sulla necessità di affrontare le “cause profonde del conflitto”. Perché questa insistenza?
Le richieste di Mosca sono molto chiare; se non ci fossero movimenti in questa direzione, sorgerebbe il dubbio che alcuni nell’amministrazione USA e tra i paesi europei non vogliano realmente risolvere la questione o accettare queste richieste.
È scetticismo, il suo?
No, perché guardando ai fatti, la Russia continua a sollevare le stesse richieste presenti negli accordi di Minsk 2 e ribadite prima dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022: un trattamento migliore per i cittadini russi o di lingua russa in Ucraina e l’impegno scritto dell’Ucraina a non aderire alla NATO.
E gli sviluppi non hanno pregiudicato queste richieste?
Al contrario. La Russia ha invaso l’Ucraina proprio perché queste richieste non sono state soddisfatte; dopo tre anni di guerra, nonostante i problemi iniziali sul piano militare, la Russia ha quasi completamente conquistato due regioni – Donetsk e Lugansk – e metà di altre due – Cherson e Zaporizhzhia – e oggi continua la sua avanzata, seppur lentamente, come concordano la maggior parte degli analisti militari obiettivi. A questi oblast si aggiunge la Crimea, riconquistata già nel 2014.
Quindi?
Queste sono le richieste russe e dovrebbero essere al centro delle discussioni. Se consideriamo che la posizione dell’Ucraina è la restituzione dei territori e che questa richiesta è ancora sostenuta dai paesi europei, è praticamente impossibile che si giunga a una soluzione rapida del conflitto. Tuttavia, il mio augurio è che possa finire domani.
La promessa di Trump di terminare la guerra in 24 ore si è rivelata un’illusione.
Trump o si illudeva, o stava probabilmente facendo campagna elettorale, oppure non aveva studiato adeguatamente il dossier sull’Ucraina.
Dopo la telefonata con Putin, Trump dovrebbe parlare con i leader di Francia, Regno Unito, Germania e Italia. Cosa dirà loro?
Non possiamo sapere. Se l’obiettivo è rendere la Russia più collaborativa, quello che Trump dovrebbe fare è spingere i leader dei governi europei a rinunciare ai piani di supporto militare e a non introdurre nuove sanzioni. È noto da anni che le sanzioni non sono efficaci: la Russia ha sempre trovato il modo di adattarsi e la sua economia, nonostante alcuni segnali di allarme, continua a reggere.
L’accordo sulle materie prime può o non può offrire all’Ucraina le garanzie di sicurezza richieste da Zelensky?
Ci sono diverse considerazioni da fare su questo accordo. La prima è che dovremmo essere molto cauti nel valutarlo, poiché dovrebbe essere esaminato nei dettagli, cosa che non è stata fatta. La seconda è che l’accordo tutela sicuramente più gli interessi economici degli Stati Uniti rispetto a quelli dell’Ucraina. Inoltre, diversi analisti hanno riconosciuto che nulla sembra impedire a Washington di applicarlo anche ai territori conquistati dalla Russia.
Qual è allora il senso politico di quell’operazione?
Gli USA sono riusciti a ottenere dall’Ucraina un vantaggioso sfruttamento del sottosuolo in cambio del supporto militare ed economico fornito nei tre anni di guerra e anche prima. Ritengo che l’Ucraina ne sarà penalizzata, ma che lo abbia firmato perché non aveva e non ha tuttora altre scelte.
Nemmeno quella di affidarsi all’Europa?
Il sostegno europeo, nonostante i fondi stanziati e le dichiarazioni di intenti, è ancora incerto e poco efficace, perché l’UE non ha la forza politica e militare necessaria.
Come viene vista oggi da Mosca l’iniziativa dell’Europa?
È vista con disprezzo, anche se il termine può dispiacere. Mosca considera l’Europa retorica e inefficace, come se non potesse avere un ruolo significativo né nelle trattative né nella prosecuzione della guerra.
Lei cosa pensa?
Purtroppo, in molti aspetti, questa è un’analisi corretta. L’UE è disunita e ha poche carte da giocare. Per decenni abbiamo trascurato la difesa, e oggi qualsiasi piano di riarmo – o di rafforzamento della difesa, per usare un’espressione più “corretta” – avrebbe costi insostenibili per le società europee, anche se si preferisce non dirlo. C’è poi una grave incoerenza da sottolineare.
Quale?
Mentre tutti i paesi europei si ritengono giustamente contrapposti alla Russia perché democratici e la Russia è autocratica, in una questione cruciale come la “sicurezza” – ovvero il riarmo – la Commissione sta bypassando il Parlamento e sembra intenzionata a farlo fino in fondo.
Va detto che non tutti i paesi europei hanno la stessa linea in merito.
È vero: l’Italia ha mostrato una maggiore prudenza ed equilibrio rispetto ad altri leader come Macron. Ma resta il fatto che l’UE continua a promuovere iniziative che non mirano alla pace, cioè alla conclusione della guerra, quanto piuttosto alla sua prosecuzione sine die.
Allude ai “volenterosi”?
Sì. L’appoggio all’Ucraina aveva senso finché sembrava possibile che l’Ucraina potesse riconquistare i territori, ma è almeno dal fallimento della controffensiva dell’estate 2023 che gli eventi indicano il contrario. A questo punto, insistere sulla fornitura di armi e sul sostegno incondizionato all’Ucraina mi sembra francamente un grave errore politico.
Eppure i “volenterosi”, ma anche l’Italia, insistono sulla difesa di un principio giusto, l’integrità dei confini e la condanna dell’invasione russa.
Sono principi sacrosanti e condivisibili. Ma difendere un principio trascurando la realtà, cioè che sul terreno gli ucraini non avanzano e non saranno in grado di recuperare, mi sembra un grande errore. I politici dovrebbero lasciarsi guidare dalla realtà, ma sembra che vi abbiano rinunciato.
Ci sono autorevoli esponenti ucraini, come Oleksij Arestovyc, secondo i quali occorre trattare, altrimenti Kiev è destinata a perdere ulteriori territori.
È un punto di vista importante, ancor più perché proviene dalla parte ucraina. Proprio perché le condizioni sono queste, occorrerebbe andare quanto prima verso la pace, non verso la prosecuzione del conflitto. Ma uomini come Macron, Merz e Starmer sembrano voler procedere in modo ostinato.
Oltre alla difesa degli obiettivi strategici, la dirigenza russa appare animata anche da ragioni ideologiche?
Sicuramente lo è. La Russia si contrappone da anni anche dal punto di vista culturale e ideologico al cosiddetto “Occidente collettivo” e la respinta dell’avanzata sarà presentata internamente come una grande vittoria, ben oltre le modeste acquisizioni territoriali.
Qual è la vera ambizione strategica?
Quando Trump è stato rieletto, Mosca ha rivisto la speranza di realizzare un sogno pluridecennale alimentato anche in epoca sovietica, cioè dividere gli Stati Uniti dall’Europa. Ma se Trump si era illuso di poter concludere la guerra in un giorno, allo stesso modo il Cremlino si è illuso che decenni di collaborazione transatlantica potessero venir meno solo perché alla Casa Bianca si era insediato un presidente anomalo.
L’obiettivo di Mosca per l’Europa era quello simboleggiato dal North Stream 2, un patto energetico, politico e culturale?
Credo che sia nell’interesse non solo russo ma anche europeo cercare di recuperare un rapporto positivo tra Russia ed Europa, in tutte queste sfere: politiche, economiche e culturali.
Sulla base di quanto detto, ritiene improbabile una rottura tra le due sponde dell’Atlantico?
Sì, e temo che la contrapposizione non solo militare e geopolitica ma anche culturale tra Russia e Occidente, continuerà. Purtroppo.
(Federico Ferraù)
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.