Putin sfida gli USA su Ucraina: Trump sotto pressione, errori costosi!

Putin è disposto a negoziare la pace, ma non “a ogni costo”. Secondo quanto riportato da fonti russe e citato ieri da Reuters, Putin richiede un accordo scritto dai principali paesi che supportano l’Ucraina, il quale preveda la non espansione della NATO verso est per avviare le trattative.

La questione non è certamente una novità, ma ciò che è nuovo è l’approccio: per la prima volta, il Cremlino lascia trapelare, oltre i confini riservati delle trattative, la necessità di un impegno formale su un aspetto cruciale – le “cause profonde del conflitto” – per il quale non ha ancora ricevuto risposte.



Al blocco dell’espansione della NATO si aggiungono altre richieste: la neutralità dell’Ucraina, la preclusione all’entrata di Georgia, Moldavia e altre repubbliche ex sovietiche nell’alleanza, l’eliminazione di alcune sanzioni occidentali, e la risoluzione delle dispute sui beni russi congelati. Nel frattempo, la tensione tra Mosca e Berlino aumenta.



Commento di Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e analista di Analisi Difesa.

Per quale motivo il Cremlino ha fatto questa mossa?

La richiesta ha una valenza non solo politica, ma anche simbolica: Putin desidera che la promessa non mantenuta fatta a Gorbachev di non espandere la NATO “neanche di un pollice” (James Baker, 1990, nda) sia formalizzata per iscritto. Visto che tale espansione è stata un detonatore del conflitto, ora Mosca esige chiarezza.

Lavrov ha annunciato che la Russia sarà pronta il 2 giugno a incontrarsi a Istanbul per i negoziati. Quindi, si prosegue.



L’insistenza su Istanbul ha anche un significato simbolico: è il luogo dove nel marzo 2022 i negoziati occidentali furono interrotti. La Turchia, membro della NATO, sottolinea che la pace non può essere raggiunta solo con l’Ucraina, ma con l’intera Alleanza Atlantica.

Qual è la reazione prevista dagli Stati Uniti?

Gli USA dovranno esaminare il memorandum russo concordato durante la telefonata Trump-Putin e successivamente decidere. Non è chiaro quale sarà la decisione, ma è evidente che fino a ora l’amministrazione americana non ha gestito con efficacia la complessità delle negoziazioni.

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Secondo il Wall Street Journal, Trump è sotto due tipi di pressione. Una di stampo neoconservatore, ostile alla Russia, e l’altra favorevole a chiudere il dossier ucraino il prima possibile. È un’analisi plausibile?

In sostanza, sì. Aggiungerei un’altra considerazione: è fondamentale capire se Trump è adeguatamente informato sugli sviluppi del conflitto e dei negoziati, oppure se, forse a causa di informazioni inadeguate, non si stia preparando a una possibile escalation. Il settore più estremista già citato, quello neocon, ha proposto sanzioni del 500% contro i clienti di Mosca, una misura precedente ai negoziati e risalente all’amministrazione Biden, ma ancora considerata. Questo ci offre un’idea dei gruppi di pressione nella politica americana e proietta un’ombra di incertezza su tutti gli sviluppi possibili.

Cosa significa questo?

Significa che gli USA, attualmente, non hanno pronte soluzioni alternative, ma vivono alla giornata. Hanno affrontato la trattativa con Mosca con superficialità e arroganza, sottovalutando completamente il suo grado di complessità. È evidente che non dispongono degli strumenti necessari per gestire il dossier.

Quali sono le conseguenze di questa debolezza americana?

La prima conseguenza è che molto dipenderà dalla personalità di Trump, dalla sua percezione di questa vicenda, da ciò che ha compreso del conflitto e dagli obiettivi che intende perseguire sulla base di queste informazioni.

C’è da considerare che l’idea neocon di indebolire la Russia, indipendentemente dal regime moscovita, è un vecchio concetto strategico americano che conosciamo da vent’anni.

Esatto. E questo ha due conseguenze. La prima è che un’America pro-sanzioni o che fornisce armamenti all’Ucraina, o all’Unione Europea affinché aiuti l’Ucraina, non può essere vista come un mediatore affidabile.

E la seconda?

Trump non può più affermare che quella in Ucraina era la guerra di Biden, perché diventerebbe anche la sua. Sarebbe un danno di immagine significativo.

Qual è allora il problema principale?

Il problema è che finora gli Stati Uniti non hanno risposto alle questioni cruciali sollevate dalla Russia, ossia “le cause profonde” del conflitto, su cui ora Putin chiede garanzie scritte. Hanno cercato di coinvolgere Putin negli interessi economici americani, ma sulle questioni importanti, come il riconoscimento dei territori, regna l’incertezza: non sappiamo cosa pensi la Casa Bianca, mentre le posizioni del Cremlino sugli oblast occupati sono chiare e irremovibili.

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È possibile congelare il conflitto nelle posizioni attuali, magari con un cessate il fuoco o una tregua?

Questo permetterebbe alla NATO, o anche solo ai Paesi “volenterosi”, di intervenire in Ucraina, aumentando i presupposti per un’intensificazione del conflitto.

Sembra che gli USA vogliano rafforzare i confini nord-orientali della NATO. È una misura di deterrenza o un atto di ostilità?

È una strategia rischiosa con sviluppi incerti, tanto che i russi hanno intensificato la loro presenza al confine con la Finlandia. Prima di tutto, bisognerà vedere se alle intenzioni seguiranno i fatti. Ma qui torniamo a Trump. Di quale Trump stiamo parlando? Di quello che voleva ritirare le truppe dall’Europa o di quello che dà credito alle tesi dei Paesi baltici e non solo, su una presunta invasione russa imminente? Una tesi insostenibile sia militarmente sia politicamente, come ho già detto più volte.

Quale tesi prevarrà?

Finora sembra prevalere quella dell’advisor che esce per ultimo dall’Ufficio Ovale.

Lei cosa pensa sul rafforzamento difensivo in quell’angolo di Europa?

La mia impressione è che ci sia stata una forte pressione da parte dei Paesi baltici e scandinavi per spingere gli americani a posizionarsi contro il pericolo russo. Tuttavia, la situazione è molto confusa.

Per il cancelliere Merz sono stati giorni imbarazzanti, iniziati con la concessione all’uso di armi a lungo raggio, seguita da smentite, e conclusi ieri con la promessa di supporto all’industria bellica di Kiev. A chi beneficia questa postura?

All’Ucraina. Ancora nel 2023 Andriy Yermak, capo dell’ufficio di Zelensky, aveva affermato che l’unica strategia per l’Ucraina per prevalere era quella di intensificare il conflitto coinvolgendo la NATO. La posizione di Merz dimostra che questo piano è rimasto invariato.

Non è fattibile o non è consigliabile?

Insistere mi sembra pericoloso. Due considerazioni. La prima: i russi vogliono un’Ucraina non solo neutrale, ma anche sostanzialmente disarmata. Non vedo come la realizzazione di fabbriche di armi in Ucraina possa conciliarsi con la clausola della neutralità. La seconda osservazione è che la strada del supporto offensivo ha già mostrato dove porta.

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Vale a dire?

Lo aveva capito bene Scholz: colpire in profondità il territorio russo significa, per i Paesi che hanno contribuito alle missioni offensive, diventare obiettivi militari legittimi. Nel 2024 alcuni missili Storm Shadow britannici sono stati lanciati sul territorio russo, ma senza colpire obiettivi significativi. La Russia ha risposto modificando la sua dottrina nucleare e riservandosi il diritto di colpire chiunque in base all’entità dell’offesa subita, anche se perpetrata con armi convenzionali. Oggi nel territorio russo penetrano solo droni ucraini.

Perché non si riesce a trovare una soluzione a questa guerra?

Lo ha spiegato Trump nel marzo scorso, anche se poi ha fatto finta di non averlo detto: è la Russia a detenere “tutte le carte”. Mosca potrà sedersi a Istanbul da una posizione di forza.

La sua previsione, almeno nel breve termine?

I russi continueranno a combattere e occupare il territorio ucraino, e si fermeranno se e dove vorranno farlo. Non vedo per il momento fattori significativi che al tavolo negoziale possano convincerli a desistere.

(Federico Ferraù)

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