Con un comunicato stampa del 3 gennaio, la Commissione Europea sottolinea l’importanza dell’integrazione tra le nuove norme anti riciclaggio e le iniziative dell’Unione contro l’evasione fiscale.

Infatti, nuove norme obbligano gli Stati Membri a garantire l’accesso alle autorità ai dati raccolti ai fini anti riciclaggio, quali titolari effettivi, trust, campi compilati in fase di due diligence.

Si fa riferimento alla Direttiva 2011/16/UE del 15 febbraio 2011, “relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE”, che stabiliva norme, procedure e tempistiche per l’implementazione del sistema dello scambio di informazioni tra gli Stati Membri.



Lo standard comune di comunicazione (CRS) relativo ai conti esteri è già in vigore con la direttiva (UE) 2014/107 e si applica alle informazioni relative ai periodi d’imposta a decorrere dal 1° gennaio 2016. Lo standard è stato sviluppato nell’ambito del Forum globale dell’OCSE, relativo allo scambio di informazioni sui conti finanziari di cui sono titolari persone fiscalmente non residenti.

La direttiva 2011/16/UE è stata successivamente modificata dalla direttiva 2015/2376/UE del Consiglio, che dispone lo scambio automatico di informazioni sui ruling preventivi transfrontalieri.

Direttiva UE 2016/881 e utilità delle informazioni in materia di antiriciclaggio

La direttiva (UE) 2016/881 del Consiglio, invece, stabilisce la comunicazione e lo scambio automatico di informazioni riguardo alla rendicontazione paese per paese (CbCR) delle imprese multinazionali tra le autorità fiscali. In tale documento si considera l’utilità delle informazioni in materia di antiriciclaggio; concetto ripreso nella successiva modifica del 2017 che ha l’obiettivo di tener conto di “recenti fughe di notizie, inclusi i Panama Papers, che hanno messo in luce le modalità con cui alcuni intermediari sembrano aver aiutato i loro clienti a utilizzare meccanismi di pianificazione fiscale aggressiva al fine di ridurre l’onere fiscale e nascondere denaro offshore. Benché alcune operazioni e strutture societarie complesse possano avere scopi totalmente legittimi, è altresì chiaro che alcune attività, incluse le strutture offshore, potrebbero non essere legittime e in alcuni casi addirittura illegali”.