È risaputo che il recente accordo commerciale tra Stati Uniti e Regno Unito, presentato dai media come un modello per le future trattative tra Washington e Bruxelles, è così innovativo e completo da aver influenzato così fortemente i tassi obbligazionari americani?
Certamente, la reazione immediata di Wall Street e le relazioni dei media influentiali hanno raccontato una storia diversa. In effetti, vi è stata raccontata una versione diversa. Dopotutto, era necessaria un po’ di nebbia per oscurare la vista, considerando che mentre si proclamava un miracolo epocale per questa farsa, a Mosca venivano firmati, nello stesso giorno, 26 accordi operativi tra Russia e Cina.
Qui diventa essenziale utilizzare una robusta dose di artifici propagandistici. Non so voi, ma a me il fatto che il debito degli USA decida di “celebrare” questa notizia eclatante con un’inversione della curva dei rendimenti tra titoli a 1 e 2 anni sembra piuttosto bizzarro. Quasi da spettacolo di cabaret.
Ma chissà, forse chi gestisce le finanze di Zio Sam non è così ingenuo da credere a un accordo che continua a imporre dazi del 10% a Londra, pur vantando svolte storiche nei rapporti bilaterali? Infatti, a dispetto delle grandi dichiarazioni, quello annunciato si è tradotto solo in un mantenimento dello status quo. Nient’altro. Una situazione che, per altro, al momento non prevede alcun regime tariffario.
Siamo alla metà esatta dei 90 giorni di rinvio decisi da Donald Trump poco prima dell’entrata in vigore di queste misure. Quindi, stiamo parlando di nulla. Nel frattempo, i dati sono chiari. Ad esempio, il traffico al porto di Long Beach, descritto come un deserto: il massimo delle ultime due settimane tra Cina e USA. E questo senza che i dialoghi tra i due paesi siano nemmeno iniziati.
E cosa dire dei dati recentemente pubblicati, secondo cui, nonostante il calo del 21% dell’export verso gli Stati Uniti, le esportazioni totali della Cina nel mese di aprile sono aumentate dell’8,1%, grazie ad Asia ed Europa? Ma di questo non vi parlano.
Da ieri, poi, la farsa ha riguardato la proposta di Donald Trump di tassare i super-ricchi fino al 40%. Nel frattempo, nessuno ha discusso i contenuti del tweet di cui vi ho parlato ieri, in cui l’occupante della Casa Bianca annunciava un taglio delle tasse epocale per la classe media e bassa. Eliminazione della tassa sugli straordinari, sulle mance (vitale per milioni di lavoratori a basso salario) e sulla sicurezza sociale per gli anziani. In pratica, miliardi su miliardi. Dell’ordine delle centinaia. Che si tradurranno in ulteriore debito. Dell’ordine delle centinaia di miliardi. A fronte di uno stock di debito di 37 trilioni e 1,2 trilioni di spese solo per interessi all’anno.
Nel frattempo, tutti esaltano i tagli fiscali del Doge e i sussidi ideologici a Harvard. Forse per questo i rendimenti obbligazionari indicano che il gioco è finito?
Volete che vi ricordi ancora una volta come, entro i prossimi 12 mesi, gli USA debbano rinnovare circa 9 trilioni di dollari di debito in scadenza, 7 dei quali entro l’autunno, e come questa sia l’unica vera priorità della Casa Bianca? Certo, la narrazione secondo cui tutti tagliano tranne la Fed è conveniente. La scenetta tra Donald Trump e Jerome Powell, decisamente mediatica. Ma attenzione all’Asia. E al disprezzo a malapena celato con cui i media hanno raccontato – o meglio, quasi ignorato – l’incontro tra Vladimir Putin e Xi Jinping a Mosca prima della parata per il Giorno della Vittoria. Lo ripeto: 26 accordi su commercio, energia e difesa firmati in un giorno.
Non a caso, secondo Eurizon SLJ Capital the dollar may face a $2.5 trillion avalanche of selling as Asian countries unwind their stockpile of the world’s reserve currency. Una interpretazione che Bloomberg ha ritenuto degna di un approfondimento. L’intervento della Banca centrale di Hong Kong a difesa del peg tra la valuta locale e il dollaro mercoledì scorso parla chiaramente di un’ultima reliquia della colonizzazione finanziaria occidentale dell’Asia che sembra sgretolarsi.
E non pensate che il rally dell’oro fisico non sia connesso a questo. O il fatto che Bitcoin, dopo mesi di un hype imbarazzante e interessato, sia tornato sopra i 100.000 dollari per la prima volta da febbraio. Proprio in concomitanza con le mosse di stimolo della Banca centrale cinese, tramite il taglio dei tassi e dei requisiti di riserva. Un proxy della liquidità Fiat.
A proposito, avete sentito della famosa riserva strategica in criptovalute annunciata dalla Casa Bianca con un ordine esecutivo davanti alle telecamere? E dell’ispezione di Elon Musk con il suo Doge nel caveau di Fort Knox per verificare se all’interno ci sia oro e non tungsteno verniciato? Nessuna notizia? Seriamente? Washington è solo il dito. La Luna è dall’altra parte, che piaccia o no.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.