DEBITI EUROPEI IN CRISI: L’allarme dalla “mucca” giapponese!

Il Futuro dell’Economia Giapponese e le Sue Ripercussioni Globali

I risparmi in Giappone potrebbero non essere più una fonte affidabile per il finanziamento del debito sovrano internazionale, con possibili grandi ripercussioni

Perché la sconfitta elettorale dell’ex maggioranza di governo in Giappone, avvenuta nella recente elezione per il rinnovo della Camera alta, è così significativa per i mercati finanziari? È forse perché per la prima volta il Giappone sembra adottare dinamiche politiche tipiche europee, come dimostra il successo dei populisti di destra di Sanseito?



No, la ragione è più profonda. Il Giappone non poteva permettersi un periodo di instabilità politica, soprattutto in un momento in cui l’incertezza potrebbe influenzare le decisioni di politica monetaria. Gli elevati rendimenti obbligazionari che stiamo osservando ultimamente suggeriscono un possibile cambiamento di strategia che avrebbe impatti diretti sull’intero mercato dei capitali legato ai debiti sovrani a livello mondiale.



Analizziamo i dettagli. Un grafico mostra come i giapponesi, noti per la loro propensione a detenere internamente il debito pubblico e per una crisi demografica avanzata, siano considerati una fonte cruciale di liquidità per il mercato obbligazionario mondiale, con circa 7,2 trilioni di dollari in risparmi, che rappresentano il 54% degli asset privati in contanti. Inoltre, il Giappone è il maggior detentore di debito estero, principalmente Treasury statunitensi e debiti sovrani dell’eurozona, con un focus particolare sui titoli francesi.

Se Tokyo decidesse di interrompere il suo abituale sacrificio dello yen per proteggere i bond sovrani, come suggeriscono i rendimenti persistentemente alti nonostante una Bank of Japan meno interventista rispetto al passato, i cittadini giapponesi potrebbero perdere interesse negli asset esteri, attirati dai rendimenti domestici più vantaggiosi. Questo trasformerebbe radicalmente il ruolo del Giappone nel mercato obbligazionario globale, limitandolo a un ruolo più isolato e passivo.

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L’apprezzamento dello yen, che segue la conferma dei risultati elettorali, sembra confermare questa tendenza. Un altro grafico indica che il debito sovrano dell’eurozona sta diventando un asset preferito per acquisti da parte delle banche centrali e dei fondi sovrani, che hanno acquisito il 20% di tutte le emissioni di debito pubblico europeo dall’inizio dell’anno, in aumento rispetto al 16% nel 2024.

Un ambiente obbligazionario reso più instabile dalla potenziale decisione giapponese di lasciare i rendimenti liberi in attesa di mosse da parte di attori esterni come la Fed o, in misura minore, la BCE, potrebbe causare un aumento generalizzato dei rendimenti a lungo termine, un fenomeno già osservato nei Treasury statunitensi. È importante ricordare che la BCE sta cercando di concludere entro fine anno il processo di riduzione del proprio bilancio, non rinnovando i titoli acquisiti tramite il programma pandemico PEPP.

Finora, non si è verificato un vero e proprio aggiustamento del premio di rischio sui conti pubblici di paesi come Spagna e Italia, nonostante le tensioni derivanti dalle politiche commerciali e l’emergenza bellica che ha portato la Germania a un debito record, influenzando così i Bund e favorendo una riduzione dei differenziali su BTP e Bonos. Tuttavia, con l’avvicinarsi del 2026 e l’accumularsi di simili criticità nel settore, sarà interessante vedere come questi spread continueranno a riflettere i veri premi di rischio legati ai conti pubblici in assenza di politiche efficaci di riduzione del debito.

Inoltre, è essenziale tenere d’occhio lo yen. L’aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine potrebbe indicare una nuova strategia anche per la Bank of Japan, non solo per il ministero delle Finanze, in termini di durata e volume delle emissioni, sacrificando i bond a favore della valuta per evitare un deprezzamento ormai strutturale rispetto al dollaro USA dal 2022.

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Per mettere in prospettiva alcuni numeri, da giugno 2023 a oggi, i titoli giapponesi a 30 e 40 anni hanno visto i loro rendimenti aumentare rispettivamente da 1,17% e 1,36% a 3,03% e 3,34%, praticamente raddoppiando in due anni. Questo trend è simile anche per i bond a 10 e 20 anni, che rappresentano un ulteriore indicatore della politica di controllo sulla curva dei rendimenti.

Infine, il ministero delle Finanze giapponese ha indicato di voler privilegiare emissioni di breve durata. In questo scenario, l’investitore giapponese potrebbe cercare rifugio in assets denominati in dollari, oro e Bitcoin, mentre le dinamiche relative allo yen e al suo ruolo nel carry trade potrebbero innescare una spirale autoalimentante rispetto alla valuta nipponica.

Il problema è duplice: la prossimità del “muro di scadenza” obbligazionaria e l’impatto di una simile scelta sul mercato obbligazionario. Con emissioni di bond a 10 e 30 anni previste per il 5 e 7 agosto, sarà cruciale osservare il primo test per lo yen/dollaro. Potrebbe rivelarci se Tokyo ha realmente deciso di sacrificare i suoi bond a favore dello yen. Questo interesserà tutti, in particolare coloro che hanno gravi problemi legati al finanziamento del debito e alla gestione dei costi degli interessi.

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