Il dibattito sul conflitto d’interesse riemerge con Piersilvio Berlusconi, ma un’altra questione rimane in ombra in Italia
Recentemente Piersilvio Berlusconi ha riacceso le discussioni su un suo eventuale impegno nella politica. Questo ha portato nuovamente alla luce il dibattito sul conflitto d’interesse che da oltre trent’anni coinvolge le attività di Fininvest nel settore finanziario e televisivo e le operazioni politiche di Forza Italia, il partito creato da Silvio Berlusconi, che ha ricoperto per tre volte il ruolo di primo ministro e oggi è parte della coalizione di governo di centro-destra.
Piersilvio Berlusconi ha sapientemente evitato di cadere nella trappola del dibattito sull’ius scholae, recentemente rilanciato dal vicepremier Antonio Tajani, e ha puntato il dito contro Maurizio Gasparri, ancora legato alla normativa che regola il duopolio RAI-Mediaset. La mossa del CEO di Cologno non è stata del tutto imprevista.
Non è nuova l’atteggiata di allerta dell’Azienda-Partito quando si avvicina il periodo di definizione della Legge di Bilancio, che spesso riporta al centro della discussione l’adeguamento del canone Rai. Questo potrebbe portare a una riduzione del canone stesso, con effetti a cascata sulle risorse disponibili per le televisioni commerciali, mettendo così in pericolo i bilanci di Mfe, la holding televisiva di Fininvest.
Non sorprende quindi che Piersilvio, che condivide con la sorella Marina l’eredità del padre magnate, abbia voluto ricordare a Giorgia Meloni, la premier, l’importanza politica lasciata dal Cavaliere, inclusa la “proprietà” di un gruppo di parlamentari chiave sia a Roma che a Strasburgo. L’influenza politica della famiglia Berlusconi rimane significativa, soprattutto in termini di affari, mentre Mfe, superata la tempesta Vivendi, sta pianificando una espansione europea trasferendo la holding in Olanda e facendo offerte per l’acquisizione della tedesca ProSiebensat.1.
Anche se sono passati 35 anni dal decreto Mammì, che ha segnato l’ingresso in politica del Cavaliere e l’inizio del conflitto d’interesse per antonomasia della “seconda repubblica”, Berlusconi Jr non ha esitato a trattare FI come se fosse una sua azienda personale. Questo avviene in un contesto dove si discute anche di un altro grande conflitto d’interesse, quello tra il potere giudiziario e le altre istituzioni, scaturito in seguito a Mani Pulite per beneficiare l’ordine giudiziario nazionale.
Il cuore di questo conflitto si è spostato dai palazzi di giustizia a un triangolo di poteri nella capitale, composto da Quirinale, Consiglio Superiore della Magistratura e infine la Corte Costituzionale. La spinta dell’ordine giudiziario a consolidare il proprio potere indipendente rispetto al legislativo e all’esecutivo è stata accompagnata da una crescente pratica semipresidenziale del Quirinale, il che ha portato a cambiamenti significativi nel ruolo costituzionale del CSM, di cui il Presidente è capo, e nella dinamica della Consulta, sempre più vista come un contro-potere politico-mediatico.
I cinque giudici costituzionali scelti all’interno della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, insieme ai cinque nominati dal Presidente della Repubblica, mostrano un conflitto d’interesse crescente, con il Parlamento che dal 1955 può nominare solo cinque giudici su quindici. Questo ha portato a una democrazia rappresentativa in cui il potere del Quirinale e della magistratura, a lungo influenzata dalle correnti più politicizzate vicine alla sinistra, prevale sulla sovranità popolare.
Attualmente al Quirinale siede un ex giudice costituzionale, eletto come risultato dell’accordo del Nazareno tra Silvio Berlusconi e il PD di Matteo Renzi. Nel frattempo, alla guida della Corte si trova un ex alto magistrato della Cassazione, nominato dai colleghi con l’approvazione del Quirinale.
È forse solo una coincidenza che in questi giorni il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, ancora in carica, abbia accettato di condurre un programma su una rete televisiva nazionale, presumibilmente su temi di attualità politico-giudiziaria, ma su una rete diversa da Mediaset, spesso bersaglio dei suoi colleghi in una guerra civile e istituzionale lunga trent’anni intrecciata di conflitti d’interesse, congelata nel 2011 da un “cessate il fuoco” negoziato tra Napolitano e Berlusconi mentre la Casa Bianca di Barack Obama imponeva all’Italia un “dazio” del 600% sul debito pubblico.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.