diversity

La SEC (Securities and Exchange Commission) ha annunciato di aver avviato un lavoro per modificare le regole di disclosure, per chiedere alle aziende quotate di includere nella loro informativa al pubblico anche tematiche di diversity in termini di razza, sesso, etnia dei loro amministratori. L’informativa dovrebbe essere su base volontaria, con una auto-segnalazione da parte degli amministratori stessi.

Già dal 2009 la SEC ha richiesto alle aziende quotate di fornire informazioni sull’eventuale implementazione di politiche sulla diversity, nell’identificazione dei membri del Board. Nel caso questo avvenga, allora bisogna indicare anche il modo in cui tale politica viene attuata e come se ne valuta l’efficacia. La regola ha lo scopo di aiutare gli investitori, nelle loro decisioni, anche tenendo conto di informazioni su etnia, razza, genere degli amministratori.

Secondo quanto riportato dalla SEC, questa regola non verrà modificata. La questione è se, dal 2009 ad oggi, essa si sia dimostrata sufficientemente forte per tutelare gli interessi di investitori.

In generale, non vi è una definizione condivisa di diversità. In alcuni Paesi si è fissata una quota sul genere. A dicembre 2015 il Government Accountability Office (GAO) ha pubblicato una relazione, in cui si fa notare che le donne occupano circa il 16% dei posti nei consigli di amministrazione e, sebbene tale percentuale sia aumentata negli ultimi anni, si stima che non raggiungerà il 50:50 per almeno i prossimi 40 anni. Si riportano anche esempi di altri Paesi in cui si sta già lavorando sul tema della diversità, come la Germania (in cui il 30% dei membri dei Board è donna) e la Norvegia (40%).

Invece, è del 27 Aprile il report pubblicato da European Women on Boards (EWoB), all’interno di un progetto dell’Unione Europea, sulla presenza di donne nei consigli di amministrazione delle più grandi 600 società quotate, la cui presenza sarebbe cresciuta dal 13,9% del 2011 al 25% del 2015.

Ma, nonostante ciò, il concetto rimane limitato alla Gender Diversity.

In altri Paesi, si cerca di migliorare l’implementazione del concetto di diversity, attraverso altri strumenti (trasparenza e disclosure). Infatti, le aziende sono tenute ad inserire nei loro codici etici o di corporate governance informazioni su quale sia la politica che intendono mettere in atto in termini di diversity nei loro board; coloro che non riescono ad attuare le misure predefinite devono poi spiegarne le ragioni nella relazione sul governo societario o altro documento pubblico.

Questo è previsto ad esempio nel Codice di Autodisciplina (2010) del Regno Unito; anche Australia e Hong Kong stanno promuovendo la diversità utilizzando un approccio che viene definito ‘rispetta o spiega’.

La GAO sostiene, però, che l’attuale regola della SEC non è sufficiente e chiede che vengano fornite indicazioni più precise sulla definizione di ‘diversity’.

Infatti, si ritiene che le società, oltre a tener conto di caratteristiche quali conoscenze, competenze ed esperienze, nel momento in cui devono definire il concetto di diversità, potrebbero classificare come “diverso” un soggetto solo, ad esempio, sulla base del settore in cui lavora o ha lavorato.

Dunque, mantenendo la scelta della disclosure come strumento di trasparenza nei confronti degli investitori, al fine anche di ridurre il più possibile il peso ed i costi per le società, l’impegno della SEC sarà quello di rafforzare il concetto, chiedendo l’introduzione di grafici o tabelle informative e trovando un equilibrio tra la comune view e l’approccio che la SEC vorrà implementare sulla diversity.