FINANZA SPY: Scopri le Strategie Cruciali dietro le Pantimime su Dazi e Risparmi in Europa!

L’ultimo episodio di teatro politico canadese dovrebbe avervi chiarito quanto vi ho continuato a dire fin dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. I dazi sono diventati il nuovo strumento di inflazione, utilizzati per manipolazioni sia macroeconomiche che puramente finanziarie.

Per illustrare, riflettiamo su un fatto: perché Donald Trump ha proclamato un aumento del 50% sui dazi sull’alluminio canadese proprio minuti prima della chiusura della borsa di Wall Street, e perché la loro rimozione è stata annunciata solo mezz’ora prima della fine delle contrattazioni, causando un’impennata finale dei prezzi?



Guardate il volume di opzioni put negoziate sullo Standard&Poor’s 500 il giorno prima. Per risparmiarvi la fatica, ecco un grafico: un record storico. Notate come questo short squeeze abbia favorito i soliti noti, dopo giorni di pesanti perdite.

Una pantomima, come ho detto e ribadito. Continuerò a ripeterlo. Il problema è che i media tradizionali ci credono, o peggio, tentano di convincervi che siamo nel bel mezzo di una guerra commerciale che ci porterà alla recessione. E infatti, l’UE ha prontamente annunciato contromisure tariffarie per un valore di 26 miliardi su prodotti importati dagli USA a partire dal 1° aprile, una data che si presta ironicamente a cambiamenti dell’ultimo minuto.



Ma ci vogliono far credere che il problema sia più grave, radicale, disastroso e strutturale. Di conseguenza, sono necessari piani strabilianti come quelli della Commissione, ovviamente rafforzati dalla minaccia russa come kicker.

Il motivo per cui gli Stati Uniti avrebbero bisogno di una recessione l’ho spiegato da tempo, ma repetita iuvant. Con 7 trilioni di dollari di debito da rifinanziare entro sei mesi, è chiaro che la priorità sia abbassare i rendimenti, altrimenti ciò che era stato collocato sul mercato con un premio di rischio del 2% ai tempi del QE pandemico, ora costerà oltre il 4% per effettuare il roll-over. Stiamo parlando di 7 trilioni di dollari, che saliranno a oltre 9 entro la fine dell’anno, e di uno stock totale di 36 trilioni. È necessaria una recessione che spinga una rotazione dal mercato azionario a quello obbligazionario, al fine di aumentare il prezzo dei bond e ridurre i rendimenti. Questo è mero pragmatismo. E, come dimostra questo grafico, la strategia sembra funzionare perfettamente.

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L’indice ciclici/difensivi di Goldman Sachs conferma che è già in atto uno spostamento significativo dalle azioni più sensibili alle fluttuazioni del ciclo economico a quelle come le utilities, che offrono una maggiore protezione dai rischi. Il prossimo passo? Più paura, quasi sicuramente alimentata da un settore chiave come l’edilizia (dopotutto, chi può dimenticare i subprime?) e un ulteriore spostamento verso i Treasuries, considerati beni rifugio.

Curiosamente, questa finestra di rifinanziamento si concluderà quando il dibattito sul debt ceiling entrerà nel vivo in Congresso, alla fine della primavera. A quel punto, il Tesoro potrà riprendere a emettere T-Bills, debito a breve termine. E tutti potranno reinvestire con entusiasmo in azioni, che grazie ai recenti cali non saranno più sopravvalutate. Così, persino il signor Smith potrà essere persuaso di non perdere l’ennesima occasione storica.

Chiaramente, gli hedge fund e le grandi istituzioni finanziarie avranno già acquistato ai veri minimi. E faranno profitti. Wall Street era manipolata, è manipolata e resterà tale. Nulla è cambiato. Ora, i cambiamenti improvvisi di notizie sono riservati ai dazi e alle tariffe, perché è necessario creare le condizioni per una correzione macroeconomica al ribasso. Non preoccupatevi, i rally azionari torneranno presto.

In questo contesto, spero che siate anche voi convinti che l’Europa non sia esente da simili tentativi di inganno di massa. Recentemente, in rete si sono moltiplicati i link a una dichiarazione di Ursula von der Leyen incentrata sulla trasformazione dei risparmi privati in investimenti pubblici, paragonandola al prelievo forzoso di Giuliano Amato per finanziare l’ingresso dell’Italia nell’euro. Signori, quel piano e quella cifra di 800 miliardi sono noti dallo scorso settembre, come contenuti nel report sulla competitività presentato da Mario Draghi. Ecco un link, ma potete trovarne decine online, trattandosi di una notizia pubblica e addirittura esaltata apertamente.

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Perché allora nessuno si indignò? Forse nessuno aveva compreso il vero contenuto di quelle pagine? O forse perché criticare SuperMario è considerato un crimine di lesa maestà? Eppure Mario Draghi parlava esplicitamente e in modo chiaro del risparmio privato europeo, enormemente superiore a quello statunitense, e quindi necessariamente destinato a diventare parte integrante del piano di investimento per accrescere la competitività dell’UE. Inoltre, l’ex Premier e ex presidente della BCE parlava chiaramente anche del settore della difesa come uno dei pilastri da rifinanziare pesantemente. E, infine, parlava altrettanto chiaramente della necessità di un debito comune.

E all’epoca, chi sollevò dubbi su quest’ultimo punto? Ursula von der Leyen, che in quel momento era ancora cauta riguardo all’uso di emissioni comuni, seppur finalizzate e limitate. È tutto noto da almeno sei mesi. Come vi dicevo nei giorni scorsi, mancava solo il casus belli, ovvero la pantomima dello Studio Ovale che desse alla Germania l’alibi per sfoderare il bazooka fiscale su cui, data la crisi industriale in corso, gli economisti di relazione del paese stavano segretamente lavorando da mesi. Con SPD e CDU d’accordo.

Credete davvero che la Grande Coalizione sia nata tanto rapidamente per una necessità antifascista, data un’Alternativa per la Germania così sovversiva e pericolosa da non aver proferito parola di fronte all’ennesimo inciucio post-elettorale?

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