a cura di Michela Vignuta, Ufficio Compliance Ersel

Ogni eventuale parere espresso è personale e non vincola in alcun modo l’azienda.

Link: ll Private Banking in Italia: tra ecosistema digitale e normativo la sfida dell’evoluzione del settore – Parte I

L’ecosistema economico, digitale e normativo

L’ecosistema nel quale il risparmiatore si muove da alcuni anni è caratterizzato da mercati azionari molto volatiti con tassi di interesse bassi su depositi ed obbligazioni. Il mercato immobiliare in discesa e la bassa redditività degli organismi collettivi di investimento hanno reso il risparmiatore prevenuto nei confronti di investimenti attivi, portandolo a giocare in difesa, nell’ottica di non erodere il patrimonio accumulato. Alcuni investimenti alternativi sono andati contro corrente come le materie prime, oro e argento, a testimonianza di una situazione anomala generale.

Il sistema economico non riparte, la crescita è a zero con una disoccupazione crescente; in un clima di recessione globale il denaro viene “parcheggiato” invece di entrare nel circuito del sistema economico sotto forma di consumi oppure, nel caso delle aziende, di nuovi investimenti.

Viceversa, attraverso la politica di “Voluntary Disclosure”, il Governo ha permesso agli italiani che detengono attività finanziarie o patrimoniali all’estero non dichiarate al Fisco, di sanare la loro posizione, anche penale, pagando imposte e sanzioni in misura ridotta. Molti intermediari si sono attrezzati per far fronte alla richiesta dei clienti e hanno accumulato ulteriori patrimoni da gestire sui loro conti.

Il mercato italiano è composto da un’alta percentuale di imprenditori proprietari di “aziende di famiglia”, rappresentato principalmente da PMI. Molti di questi hanno iniziato a affrontare la sfida della successione con il trasferimento della leadership di famiglia alle nuove generazioni. Il rischio più forte è quello di rendere più deboli le capacità imprenditoriali a supporto della crescita delle aziende, aprendo le porte alla ricerca di manager esterni.

Nel quadro normativo sono sempre più forti le pressioni per una maggiore trasparenza dei servizi offerti, remunerazione coerente e rendicontazione della prestazione effettuata. Il concetto di Product Governance non è stato introdotto direttamente come naturale evoluzione di Mifid I (Markets in Financial Instruments Directive), ma requisito che traduce una norma di principio organizzativa. La forma di “Know Your Product” allineata al “Know Your Customer” richiederà agli intermediari di individuare categorie di prodotti target ed assicurare coerenza nella distribuzione rispetto alla clientela.

I rapporti tra casa prodotto e distribuzione si fanno più stretti, formalmente delineati negli accordi di distribuzione, che cercano di allineare interessi e logiche diversi, dove anche emittenti e Sgr, non soggette a Mifid, dovranno parlare la stessa lingua degli intermediari distributori. L’informativa contrattuale ex-ante ed ex-post avrà un grado di dettaglio maggiore, ma la difficoltà principale riguarda la sovrapposizione tra informazioni richieste da normative diverse come PRIIPS, le schede prodotto di Consob e l’informativa secondo il Bail-in.

Già Mifid I indica nell’accrescimento della qualità del servizio una delle condizioni necessarie per il giudizio positivo in merito all’ammissibilità degli incentivi, cioè quelle commissioni percepite da intermediari distributori per il servizio di collocamento. La nuova Direttiva, in seno ad un modello di consulenza standard, prevede un test di ammissibilità che richiede l’avvaloramento di un accrescimento del servizio prestato attraverso l’accesso a un’ampia gamma di strumenti finanziari e la prestazione del servizio di consulenza su base continuativa. Vigerà invece il divieto di percezione di incentivi quando un’impresa di investimento presta consulenza su base indipendente o il servizio di gestione di portafoglio individuale; gli incentivi dovranno essere accreditati al cliente e saranno oggetto di rendicontazione.

Infine, la domanda di tecnologia è cresciuta e gli intermediari italiani dovranno allinearsi ai trend internazionali nei modelli di consulenza. Negli Stati Uniti, la stima degli Assets Under Management gestiti da robo-advisors è in crescita, soprattutto a seguito dell’interesse dimostrato dal segmento della clientela High Net Worth Individuals.

Il canale digitale gioca un ruolo fondamentale nella fase di ricerca di un prodotto per il consumatore italiano, mentre il tasso di conversione verso la finalizzazione dell’acquisto è ancora difficile. Tendenzialmente vengono effettuati pagamenti e transazioni online, mentre l’acquisto di un prodotto più complesso appare ancora lontano e viene preferito il canale fisco.

I prodotti finanziari hanno una durata di servizio più lunga rispetto alla media degli acquisti online per cui il servizio di post-vendita è molto importante. Per questo i clienti si aspettano un supporto attraverso l’accesso online sulle informazioni e servizi correlati all’acquisto effettuato. Tuttavia, gran parte dei siti degli intermediari finanziari italiani non appaiono sufficientemente adeguati a supportare ancora questa necessità della clientela.


Estratto dall’articolo originale “ll Private Banking in Italia: tra ecosistema digitale e normativo la sfida dell’evoluzione del settore” pubblicato sulla rivista “La Bussola” n. 43 – Novembre 2016