Nel 2011, il Fondo Monetario Internazionale dichiarava che la scala del riciclaggio, a livello globale, quotava tra il 2 ed il 5% del PIL complessivo (UNODC), aggiungendo che meno dell’1% di questo importo viene identificato e recuperato.
Qualche anno prima (2009), lo United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC) dichiarava che le attività criminali nel mondo mettevano in gioco più del 3.6% del PIL globale (per un importo di circa $2.1 bilioni) e che il riciclaggio si attestava al 2,7% ($1.6).
A livello europeo, nel 2015, il Project Organised Crime Portfolio (OCP) stimava che lo 0,9% del PIL dell’area viene generato da attività illecite (Savona & Riccardi, 2015), per un valore di circa €110 miliardi.
Questi dati sono documentati in uno studio pubblicato di recente dall’Europol Criminal Assets Bureau, che afferma che ben il 98,9% dei profitti derivanti da attività illecite, in Europa, rimane non confiscato. In altri termini, solo il 2,2% (€2.4 miliardi) viene identificato e congelato, e solo l’1,1% è poi effettivamente confiscato.
Ed in Italia?
I ricavi illegali rappresenterebbero circa l’1,7% del PIL, per un importo variabile tra un minimo di 17,7 e un massimo di 33,7 miliardi di €. L’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, segnala la destinazione di 3.715 beni, nel 2015 (2.829 beni immobili; 253 aziende; 633 beni mobili), confiscati alle organizzazioni criminali.
Spesso abbiamo citato su Compliance Journal il tema della corruzione, legato a normative del settore finanziario che hanno l’obiettivo di ostacolarne la crescita. Ma ci è sembrato opportuno fare anche un punto sui numeri.
Quanto possiamo fidarci dei dati? In realtà questi risultano limitati, parziali, anche se danno una idea di massima della dimensione del fenomeno.
Ignazio Visco, nel suo intervento “Prevenzione e contrasto della criminalità organizzata” (gennaio 2015):
- segnala che i rischi di riciclaggio sono più elevati con presenza significativa di criminalità, corruzione, evasione;
- secondo alcuni studi, le aree geografiche con una maggiore concentrazione di criminalità hanno avuto perdite in termini di PIL, in un periodo di osservazione di 30 anni;
- effetti distorsivi si hanno sul costo del credito per le imprese e su una maggiore richiesta di garanzie da parte delle banche, con impatti negativi su investimenti e crescita;
- nel mercato assicurativo, la presenza della criminalità impone un costo diretto su imprese e cittadini (i premi più elevati sono stati pagati in Campania, Puglia e Calabria).
Però, ricorda anche la mancanza di una definizione chiara e consolidata di cosa si intenda per economia illegale, cui si collega anche la difficoltà a misurare il fenomeno:
“Definizioni univoche di economia “illegale” ed economia “criminale” non sono agevoli. Secondo l’Istat, sono illegali sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibiti dalla legge, sia quelle attività che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati. È economia criminale quella che, in senso più stretto, offre beni e servizi illegali e dispone di un’organizzazione stabile con proprie risorse, opera solo con regole interne, spesso basate sulla violenza, ma con obiettivi legati al profitto, non dissimili dalle imprese lecite.
La natura dei fenomeni, sommersi per definizione, rende complessa qualunque misurazione oggettiva”.
A livello europeo, è stata approvata nel 2014 la Direttiva 2014/42/UE, che unisce alla difficoltà di presidiare e misurare il fenomeno anche la necessità di affrontare l’espansione della criminalità organizzata transfrontaliera. Per far ciò, la Direttiva si focalizza sullo strumento del congelamento e della confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato.
La successiva rettifica del 29 aprile 2014 sposta la data di entrata in vigore nei singoli stati membri al 4 ottobre 2016, mentre, si richiede alla Commissione di presentare entro il 4 ottobre 2019 una relazione con la valutazione degli effetti delle norme nazionali in materia di confisca e recupero dei beni.
Tra gli obiettivi della Direttiva, c’è quello di chiarire il concetto di proventi da reato, allargandolo ai vantaggi indiretti, compresi il reinvestimento o la trasformazione successivi di proventi diretti.
L’estensione del sequestro pertanto andrebbe a colpire anche terzi che erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della provenienza illecita del bene.
Anche la definizione dei beni che possono essere oggetto di congelamento o confisca viene ampliata, includendo anche documenti o strumenti legali comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti su tali beni: “Tali documenti o strumenti possono includere, ad esempio, strumenti finanziari o documenti che possono far sorgere diritti di credito e di norma si trovano in possesso della persona interessata dalle procedure in questione”.
La Direttiva si pone poi il problema delle fonti informative relative al congelamento e alla confisca dei proventi da reato:
“Al fine di consentire una valutazione della presente direttiva, è necessario raccogliere una serie minima di dati statistici appropriati comparabili in materia di congelamento e confisca dei beni, tracciamento dei beni, attività giudiziarie e trasferimento dei beni. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per raccogliere dati necessari a determinate statistiche a livello centrale al fine di trasmetterli alla Commissione”.
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