Secondo alcune fonti, una frase sarebbe stata pronunciata da Paul Volcker mentre altri la attribuiscono ad Alan Greenspan, entrambi ex presidenti della Federal Reserve. La citazione è la seguente: Quando le cose si mettono davvero male, il compito di un banchiere centrale è quello di mentire. Un esempio di pragmatismo alla Machiavelli.
Contrariamente a quanto suggerito da questa frase, il recente rapporto per gli investitori di Bridgewater mostra una strategia completamente diversa nei fondi di investimento. Di fronte a crisi evidenti, sembrano preferire la trasparenza alla menzogna.
È difficile non pensare a una dissimulazione. È come chiedere al proprietario di una taverna se il suo vino è buono, quando questo ha l’intento di venderti qualcosa. Ma nella prima pagina del documento di Bridgewater si legge: In 50 anni di attività abbiamo assistito a molte grandi trasformazioni economiche, quindi non parliamo a cuor leggero quando diciamo che questa sembra una svolta generazionale. In altre parole, in mezzo secolo abbiamo visto di tutto, ma ciò che stiamo vivendo adesso è senza precedenti.
Per il resto, leggete voi. In particolare, notate la frase evidenziata in rosso: Prevediamo rischi eccezionali per gli asset statunitensi, che dipendono dagli afflussi esteri.
Dai un’occhiata a questo grafico. E osserva la partecipazione estera all’asta di Treasuries a 7 anni di giovedì pomeriggio: la più bassa dal dicembre 2021.
Poi, ritorna all’immagine principale e considera la prima frase evidenziata: Prevediamo un rallentamento indotto dalle politiche, con un’alta probabilità di recessione. Proprio come un cambio di direzione nelle dichiarazioni sui dazi, guarda ora i nuovi ordini manifatturieri segnalati dall’indice della Fed di Richmond: peggiori di quelli durante il Covid, quando la pandemia bloccò le fabbriche e congelò le catene di fornitura globali, spingendo le economie verso un massiccio re-shoring.
Una tale situazione mi porta a cambiare paradigma: non chiedersi se ci sarà una recessione, né quando, ma piuttosto quanto sarà profonda e dolorosa. E poi quell’onestà disarmante, quel candore insolito per un report del principale fondo di investimento globale: rallentamento indotto dalle politiche. La famosa recessione “programmata” di cui parlo da settimane, o forse mesi, da quando è iniziata la ridicola pantomima dei dazi e delle tariffe.
Stiamo davvero comprendendo l’entità del rischio che ci troviamo davanti, se qualcosa in questo esperimento di recessione indotta da QE dovesse fallire? Ha davvero senso continuare a osservare se il gatto a Wall Street è vivo o morto e se, come sembra in questi minuti, il Treasury a 30 anni potrebbe presto superare il punto di non ritorno del 5% di rendimento?
Bridgewater sta recitando il suo ruolo in questa commedia o, forse perché si trova dalla parte opposta alla Casa Bianca in una guerra tra poteri forti negli USA, sta veramente gridando che il Re è nudo, sicura che solo chi di dovere capirà in tempo la verità e le conseguenze che questa potrebbe portare?
Credi che la spaccatura senza precedenti a Bruxelles sul piano di riarmo, così in contrasto con il processo democratico e persino con le direttive degli organi giudiziari europei da suscitare numerosi dubbi, sia direttamente collegata a questo? Si accelera sul riarmo non per la paura di un’immaginaria invasione russa, ma perché di fronte a noi c’è un abisso macroeconomico tale da rendere necessaria una politica di rottura totale con il passato di austerità, quest’ultima declinabile in un senso accademicamente accettabile e ortodosso?
Riarmo come impulso al PIL, guerra come via di fuga dalla crisi industriale – settore automobilistico in primis – che vede tutte le economie dell’Eurozona affrontare trimestri di dati negativi con prospettive ancora peggiori per l’anno in corso? O forse pensi che il peggio sia già stato realisticamente anticipato nelle previsioni del Fmi?
Gli ordini manifatturieri della Fed di Richmond certamente non sono peggiori di quelli tedeschi. Il problema è che, paradossalmente, dall’altra parte dell’oceano almeno hanno un pazzo alla Casa Bianca che sta chiaramente stimolando una recessione per costringere la Fed a intervenire e il Congresso a non fare troppi capricci sul debt ceiling che sarà discusso a fine maggio. Pazzo sì, ma con una visione. E una missione: proteggere gli interessi degli USA. A qualsiasi costo. E sacrificando chiunque.
Qui abbiamo una classe dirigente – e giornalistica/intellettuale – che non riesce nemmeno a comprendere come la mossa di Ursula von der Leyen non debba essere considerata tra i vari colpi di stato politici e le distorsioni di un SuperStato autoritario tanto graditi a chi vorrebbe lasciare l’UE ma non la BCE e il suo scudo, ma piuttosto tra le disperate dissimulazioni terminali di una crisi strutturale finora negata e ora destinata a esploderci tra le mani.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.