ACCORDO USA-CINA & INFLAZIONE: Pressioni Crescenti sulla Fed in un Contesto Incerto!

Ieri Trump ha rilasciato una dichiarazione riguardante un nuovo accordo tariffario con la Cina, poco prima della diffusione dei dati sull’inflazione statunitense di maggio

Il tasso di inflazione degli Stati Uniti a maggio si è attestato al 2,4%, leggermente superiore al 2,3% del mese precedente e conforme alle previsioni. L’indice “core”, che esclude energia e alimentari, è rimasto stabile rispetto ad aprile al 2,8%, al di sotto delle aspettative di mercato che prevedevano un aumento al 2,9%. Gli investitori avevano atteso questi dati per valutare le prime ripercussioni delle tariffe doganali. C’era la preoccupazione che l’inflazione potesse aumentare immediatamente, segnando l’inizio di una serie di rialzi.



Nonostante un leggero respiro di sollievo, gli investitori non hanno modificato significativamente le loro aspettative sulla politica monetaria della Federal Reserve; continuano a prevedere almeno una riduzione dei tassi, seguita da una seconda entro dicembre.

Pochi minuti prima della pubblicazione del dato sull’inflazione, Trump ha annunciato di aver raggiunto un accordo preliminare con la Cina che prevede tariffe del 55%. Il Presidente ha anche menzionato che l’accordo consentirà la ripresa delle esportazioni di terre rare dalla Cina verso gli USA. Durante un’audizione alla Camera, il segretario del Tesoro Bessent ha tuttavia osservato che resta da vedere se Pechino rispetterà i suoi impegni.



Più che una conclusione definitiva, dopo due mesi di annunci e contrordini, questo sembra essere solo un risultato temporaneo che potrebbe cambiare in qualsiasi momento, qualora si decidesse che la Cina “non sta rispettando gli impegni”. Nel frattempo, gli effetti dei dazi si stanno manifestando in settori come l’elettronica e gli elettrodomestici. Le reti di distribuzione e le aziende che operano nei settori di consumo di massa hanno segnalato nelle ultime settimane che sarà difficile evitare aumenti dei prezzi.

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Il dato di ieri potrebbe riflettere l’effetto di due forze contrapposte, poiché alcuni indicatori, come la diminuzione dei prezzi dei biglietti aerei, suggeriscono un rallentamento dell’economia, un fenomeno emerso anche la scorsa settimana dall’indice PMI dei servizi. Questi rallentamenti potrebbero aver compensato i primi effetti dei dazi.



Gli annunci e le smentite di questi due mesi hanno avuto un impatto sia sulla propensione delle imprese a investire e ad assumere, sia perché contribuiscono a una separazione delle economie cinese e americana, che è inflazionistica.

È evidente che le aziende cinesi devono considerare l’instabilità delle esportazioni verso l’America nei loro piani, mentre il sistema americano deve cercare di diversificare le proprie importazioni da un paese che offre il miglior rapporto costo/qualità. È anche per questa ragione che gli investitori non cambiano opinione. La guerra commerciale è inflazionistica, e lo sono anche le politiche migratorie di Trump, nella misura in cui riducono l’offerta di lavoro.

Nei prossimi mesi, il focus sarà sull’equilibrio tra un possibile rallentamento dell’economia americana, con effetti disinflazionistici, e le forze che spingono i prezzi al rialzo. Ieri, la Federal Reserve è tornata al centro delle polemiche. Secondo il vicepresidente Vance, il rifiuto della Fed di tagliare i tassi è “negligenza monetaria”. Tuttavia, il panorama è incerto e le variabili in gioco sono numerose. In uno scenario di possibile stagflazione, anche le decisioni di politica monetaria diventano complesse.

Dall’ultimo dato sull’inflazione di maggio non si possono trarre conclusioni definitive sulle prospettive dei prossimi mesi e nessuno può ancora affermare se la guerra commerciale sia finita o quali impatti abbia avuto fino ad ora, né prevedere cosa succederà all’offerta e alla domanda di lavoro negli USA. L’approccio della Fed, incomprensibile secondo Trump, riflette l’incertezza sui prezzi nei mesi a venire e preoccupazioni condivise almeno in parte dagli investitori. Decisioni drastiche sulla guida della Banca centrale aggiungerebbero un ulteriore elemento di instabilità.

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L’accordo di ieri e l’inflazione di maggio rappresentano appena una prima valutazione di ciò che è accaduto negli ultimi due mesi. Giugno e luglio forniranno indicazioni più dettagliate.

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