Il caso Danske ha riportato in auge, con gran forza, il tema dell’AML come fenomeno vivo ed attuale.
Eppure, non sono state poche le sanzioni degli ultimi mesi, relative a carenze nella prevenzione e nel controllo del rischio di riciclaggio: Western Union ha ricevuto una sanzione di 60 milioni di dollari; Mega International Commercial Bank, di 29 milioni; Rabobank NA, di 360 milioni; Standard Chartered Bank, di 4,9 milioni; Credit Suisse Securities negli Stati Uniti, di 16,5 milioni.
In Europa, ING Bank N.V. sta pagando 775 milioni di euro; la banca private Edmond de Rothschild è stata sanzionata per 9 milioni di euro; Deutsche Bank lo scorso anno veniva sanzionata per 500 milioni di sterline dalle Autorità inglese ed americana. Ed ancora, altri casi sono stati quelli di Latvian ABLV Bank, Versobank in Estonia, Pilatus Bank a Malta.
Perché, dunque, proprio il caso della filiale estone della Danske Bank è rimbalzato in tutto il mondo con la forza con cui è stato riportato dai giornali?
Un caso eccezionale?
Forse, ciò che impressiona è l’ammontare delle operazioni di riciclaggio, per cui è stato definito da alcuni come “il più grande scandalo bancario nella storia d’Europa”. Ma colpisce anche la durata del fenomeno, visto che alcune operazioni sarebbero state effettuate già nel 2007 e sarebbero continuate fino al 2015. C’è da aggiungere che irregolarità erano state identificate dalle autorità della Danimarca già nel 2014, con la richiesta alla banca di bloccare i servizi ai non residenti. Ancora, secondo altre fonti, anche le segnalazioni di un dipendente della banca non hanno avuto l’effetto di bloccare tempestivamente le transazioni illegali.
Insomma, una serie di fattori che hanno permesso a questo canale di rimanere aperto troppo a lungo.
A che punto siamo con il contrasto al riciclaggio
Al di là del caso specifico, quello che forse andrebbe capito è come mai, dopo 4 direttive e 13 anni di lavoro al fine di contrastare il riciclaggio in Europa, sia ancora possibile che operazioni di riciclaggio possano essere effettuate per tali importi e per periodi così lunghi…
Il percorso che ha portato alla IV direttiva, in effetti, è partito dalla consapevolezza che ci fossero dei limiti nel sistema di prevenzione e ha cercato di rafforzare alcuni aspetti come:
- migliore identificazione dei beneficiari effettivi, nel caso di trust e fiduciarie;
- controlli più rigorosi su valute virtuali e sulle carte prepagate;
- maggiore protezione per il whistleblowing;
- maggiore cooperazione tra le unità di informazione finanziaria;
- flussi informativi centralizzati a livello europeo;
- potenziamento dei controlli sulle operazioni che coinvolgono paesi terzi ad alto rischio.
Eppure, a breve distanza dalla sua introduzione era già evidente che la riforma non fosse ancora sufficiente e sono in corso processi di revisione del quadro normativo:
- un regolamento dovrebbe aggiornare la normativa sul monitoraggio del trasporto transfrontaliero al seguito di denaro contante;
- una nuova proposta di direttiva dovrebbe rafforzare la possibilità di accesso reciproco degli Organi investigativi e delle FIU ad informazioni finanziarie e di polizia;
- cercare di ampliare le forme di collaborazione e condivisione informativa tra le FIU e le altre agenzie impegnate nella prevenzione e nel contrasto di reati gravi.
La quinta direttiva assegna alla Commissione il compito di valutare l’efficacia della collaborazione tra le FIU, fino alla facoltà di proporre una istituzione europea di coordinamento e supporto, con la possibilità di accentrarne anche alcune funzioni a livello europeo. Tema cruciale quello della cooperazione, a cui, a nostro avviso, vanno tenuti legati in modo imprescindibile tre punti:
- uno sui canali;
- uno sui controlli;
- l’ultimo sulle nuove tecnologie.
Tema dei canali
Il GAFI fornisce la lista dei Paesi ad alto rischio e non cooperativi e la maggior parte dei sistemi di monitoraggio delle transazioni delle banche hanno dei settaggi che permettono di bloccare o ricevere alert nel caso il flusso di denaro sia collegato a questi Paesi. Ma, se si generano dei canali sistematici per il flusso di denaro illegale, come avveniva nel caso della filiale estone della Danske Bank, che permettono di trasformarlo in denaro pulito, i meccanismi tradizionali non permettono di intercettarli.
Inoltre, la lista del GAFI non è effettivamente esaustiva dei Paesi in cui si generano flussi di denaro illegali o dei Paesi da cui transitano flussi riciclati. Un piccolissimo esempio è dato dal monitoraggio che l’UIF fa sui “principali paesi di destinazione del denaro spedito dall’Italia nelle operazioni sospette di money transfer”, sulla base delle segnalazioni sospette, da cui si evince che la maggior parte è destinata a Romania, Marocco e Cina (si veda il documento “Quaderni dell’antiriciclaggio dell’Unità di Informazione Finanziaria” del I semestre 2018). Nessuna delle tre è ad alto rischio o sotto monitoraggio, per il GAFI.
Tema dei controlli cross border
A livello UE, il sistema di alert non sembra al momento abbastanza solido da permettere ai singoli regolatori nazionali di intervenire tempestivamente, il che rende evidente la necessità di una view più alta e il superamento di quei limiti territoriali, che non permettono di tracciare e seguire le transazioni cross-border.
Tema delle nuove tecnologie
Nonostante la nuova direttiva tenga conto delle valute virtuali, resta aperto il tema delle nuove tecnologie e dei nuovi rischi ad esse collegate, in senso lato.
È recente l’audizione al Senato del direttore dell’UIF, Claudio Clemente, durante la quale fa presente che il Fintech è un fenomeno attrattivo per il riciclaggio, grazie alle sue caratteristiche che permettono:
- la rarefazione delle relazioni personali;
- di preservare l’anonimato;
- la perdita di riferimenti geografici.
Le nuove tecnologie permetteranno di traslare quello che è sempre stato considerato il principale punto di attacco al riciclaggio dal sistema bancario a nuovi territori e soggetti economici, non sempre chiaramente identificabili e con una minore sensibilità ai rischi del riciclaggio.
La rapidità nell’individuazione di transazioni sospette è fondamentale per un efficace contrasto del riciclaggio, e, su questo punto, l’eventuale accentramento di alcune funzioni a livello europeo, potrebbe risultare più adeguato.