Cina: Xi Preferisce la Crisi Economica al Declino del Partito! Scopri Perché

Il giorno 24 settembre, la Banca centrale della Cina (PBOC) ha introdotto diverse iniziative al fine di rivitalizzare la domanda interna in calo e sostenere il settore immobiliare, attualmente afflitto da una grave crisi. Le misure annunciate dalla PBOC includono un allentamento della politica monetaria e un significativo incremento della liquidità disponibile. In particolare, è stata ridotta la riserva obbligatoria per le banche di 0,5 punti percentuali, un’azione che dovrebbe incrementare la liquidità a lungo termine di circa 1.000 miliardi di yuan. Il governatore Pan Gongsheng, spiegando le motivazioni dietro a queste decisioni, ha affermato che “Per stabilizzare ulteriormente la crescita economica, la PBOC manterrà una ferma politica monetaria di supporto e intensificherà la regolamentazione di tale politica”.



Mentre in Europa si discute sui limiti delle politiche monetarie e sulla necessità di innovazioni nel settore industriale, la Cina continua a fare affidamento sulla sua banca centrale per uscire dalla crisi economica. Le misure adottate hanno beneficiato principalmente i segmenti del mercato finanziario che hanno investito nei principali titoli cinesi, ma è improbabile che queste stesse misure possano migliorare le prospettive di famiglie e aziende ancora alle prese con debiti ingenti. In altre parole, la politica monetaria cinese non sembra più capace di modificare le abitudini di consumo né di rafforzare la fiducia degli investitori.



Si potrebbe chiedere perché il governo cinese non riconosca che l’era del modello di sviluppo basato su grandi investimenti ed esportazioni è terminata definitivamente. Sebbene il Partito Comunista Cinese riconosca che l’unico modo per rivitalizzare l’economia è sostenere la domanda interna, si è scelto di utilizzare gli strumenti della politica monetaria, inadeguati per innescare il cambiamento necessario nella struttura economica nazionale, un cambiamento che avrebbe implicazioni profonde e complesse per l’intera società cinese.

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Come ha osservato di recente Amit Kumar, un esperto analista delle dinamiche cinesi, “Negli anni l’attuale modello economico ha permesso alla Cina di accumulare un’enorme potenza economica e di diventare un protagonista principale sullo scenario globale, creando dipendenze. La forza economica maturata si basa sul modello economico attuale di Pechino”. Questo è un punto di vista che da tempo cerchiamo di sostenere. La priorità per la leadership cinese è di utilizzare il potere economico accumulato come strumento geo-economico e di proiezione geopolitica, mentre reindirizzare l’economia verso il mercato interno significherebbe sostenere la crescita della classe media – recentemente rallentata drammaticamente – e avviare un processo di democratizzazione e apertura. Inoltre, destinare i capitali al mercato interno significherebbe ridurre le risorse disponibili per la competizione tecnologica e militare che la Cina ha deciso di affrontare.

Per la prima volta, la Cina si trova a dover privilegiare le esigenze congiunturali piuttosto che la pianificazione a lungo termine, una novità che potrebbe disorientare i leader locali. La centralizzazione statale e la creazione di vincoli di dipendenza con altri Paesi rappresentano due aspetti della politica economica cinese, ai quali la leadership di Xi Jinping non intende né può rinunciare. Come ha scritto Raja Krishnamoorthi su Foreign Policy, il PCC sta deliberatamente agendo per preservare il controllo politico, anche a scapito dello sviluppo economico e della prosperità nazionale.

Da tempo sosteniamo che una politica estera più aggressiva è un modo per canalizzare il malcontento interno e distogliere l’attenzione dalle debolezze strutturali dell’economia cinese. Tuttavia, ora il governo si trova davanti a una scelta le cui conseguenze definiranno il futuro del Paese. È probabile che Xi non voglia rinunciare al rigido controllo del Partito sull’economia, negando così al Paese le riforme e le libertà economiche necessarie per una crescita sostenuta. Non sarebbe la prima volta che un regime dà priorità alla geopolitica e alla politica di potenza rispetto alle questioni interne.

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