La prossima settimana si concentrerà sull’incremento delle spese per la difesa, mentre l’Unione Europea sembra trascurare questioni fondamentali come l’economia.
Nella prossima riunione a L’Aja, la Nato discuterà un progetto che prevede un aumento dei budget militari dei suoi stati membri fino al 5% del loro Prodotto Interno Lordo entro dieci anni. Questa mossa arriva in risposta alle previsioni che indicano la Russia come potenzialmente capace di attaccare un altro paese entro il 2030. Attualmente, solamente dieci dei trenta membri hanno raggiunto il precedente obiettivo del 2% del PIL. Per l’Italia, che investe attualmente l’1,5% del suo PIL in difesa, ciò significherebbe triplicare l’investimento a circa 145 miliardi di euro. Subito dopo, si terrà il Consiglio Europeo a Bruxelles. Domani, Giorgia Meloni illustrerà al Parlamento il suo approccio per questi incontri.
Il Consiglio Europeo ha evidenziato, attraverso una bozza di documento visionata da Public Policy, l’importanza di continuare a incrementare significativamente i fondi per la sicurezza e la difesa dell’Europa, inclusi gli impegni presi dai membri della Nato. Inoltre, il Consiglio invita gli stati membri a coordinare l’attuazione di tali impegni per il vertice Nato del giugno 2025.
Resta da vedere se queste bozze si trasformeranno in impegni concreti. Tuttavia, la situazione internazionale, inclusi i conflitti tra Israele e Iran e il rischio di un intervento diretto degli USA, necessita di una risposta europea coordinata e forte, al di là delle dichiarazioni generali fino ad ora rilasciate.
L’incremento delle spese militari sta creando divisioni tra governi, nazioni e partiti politici. Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, ha definito l’obiettivo del 5% del PIL come “irragionevole e controproducente”. Questa percentuale include un 3,5% per la “difesa pura” e un 1,5% per altri tipi di sicurezza. I negoziati su ciò che rientra in quest’ultimo 1,5% sono quasi conclusi, con categorie quali infrastrutture e cyber difesa.
Nazioni come Italia, Spagna, Francia, Belgio, Canada e Lussemburgo trovano difficoltà nel raggiungere questi obiettivi. Inoltre, l’Italia e la Francia sono sotto procedura d’infrazione per aver superato il limite del 3% di deficit pubblico. L’economia europea, nel frattempo, continua a mostrare segni di debolezza, con previsioni di crescita media nella zona euro dell’1,5%.
Le tensioni commerciali e militari hanno particolarmente colpito nazioni dipendenti da materie prime importate o esportatrici, come la Germania e l’Italia. Questo impatto si è già sentito nel mercato cinese e potrebbe estendersi anche a quello statunitense.
In Europa, si discute di governance, e in particolare della regola dell’unanimità, che permette a un singolo paese di bloccare decisioni. Una soluzione potrebbe essere l’adozione del voto a maggioranza qualificata, consentito dai trattati esistenti, specialmente per decisioni di grande rilievo.
Questi cambiamenti potrebbero portare a un’Europa a “più velocità” o a “cerchi concentrici”, anche se una struttura simile è già presente con i paesi dell’euro e quelli al di fuori di essa.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.