Le critiche delle opposizioni sono state ferme nel respingere le lamentele della maggioranza riguardo alla sorveglianza illecita dei conti bancari dei suoi principali esponenti. Secondo loro, non sono solo le figure del centrodestra ad essere state indebitamente oggetto di dossieraggio. È un’affermazione corretta, anche se chiaramente incompleta. La differenza di scala e gravità è notevole. Tra i casi venuti alla luce, quello di Perugia (Striano, Laudati) e quello di Bari (il bancario anonimo di Bisceglie), l’intera dirigenza del centrodestra è stata messa sotto osservazione. Dall’attuale premier Giorgia Meloni e Ignazio La Russa, fino a includere la sorella della premier, Arianna, l’ex compagno Giambruno, oltre a vari ministri come Crosetto, il quale con la sua denuncia ha innescato le indagini due anni fa, indagini che procedono troppo lentamente. Anche la dirigenza della Lega è stata esaminata minuziosamente, inclusi figure come il presidente della Camera Lorenzo Fontana.
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Il fatto che un anonimo impiegato di banca in una filiale qualunque della Puglia possa accedere ai conti di chiunque, da Matteo Salvini a Silvio Berlusconi, da Massimo D’Alema a Mario Draghi, solleva preoccupanti interrogativi su come vengono gestiti i nostri dati personali: l’impressione è che siano esposti al capriccio di quasi chiunque. Non soltanto da parte di un magistrato dell’antimafia nazionale (Antonio Laudati) o di un ufficiale della Guardia di Finanza sotto il suo comando (Pasquale Striano), ma anche da un semplice bancario. Perché questa sorveglianza? A beneficio di chi? Non si può ignorare che ci troviamo di fronte a una vera e propria emergenza democratica.
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Le indagini di Perugia e Bari, per ora, procedono su piste separate, ma in futuro potrebbero convergere. È evidente che sollevano una questione cruciale: come prevenire che qualsiasi cittadino italiano, influente o meno, possa essere soggetto a ricatti da parte di chi utilizza la propria posizione per effettuare verifiche illecite sulle attività finanziarie di altri. Giorgia Meloni condivide questa preoccupazione, come ha dichiarato di recente al Tg5, attendendo risposte dalla magistratura su chi riceve (o vende) le informazioni raccolte in modo fraudolento. Nell’inchiesta di Perugia, si sa che i destinatari erano spesso giornalisti “amici” (della sinistra), come sospettato inizialmente da Crosetto. E nel caso pugliese? La domanda rimane aperta, ma per i giudici, il bancario di Bisceglie, licenziato da Intesa San Paolo, difficilmente ha agito da solo, per mera curiosità.
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Quali conseguenze politiche può generare questa vicenda? Oltre a erodere ulteriormente la già fragile fiducia dei cittadini nel sistema bancario, il caso dei controlli illeciti fornisce al centrodestra argomentazioni per spingere verso una riforma della giustizia che limiti ogni forma di intercettazione, non solo telefonica. Si tratta solo di conversazioni preliminari al Transatlantico, ma l’idea di ostacolare l’operato dei “guardoni” informatici è in fase di valutazione, anche se la soluzione tecnica da adottare sembra ancora lontana. Tuttavia, ciò che emerge è la sostanziale assenza di un diritto alla privacy. Un inasprimento delle misure appare inevitabile, dato che il sistema italiano di protezione dei dati sensibili è pieno di lacune come un formaggio svizzero.
Sul fronte del rafforzamento delle misure, Meloni può sicuramente contare sul pieno supporto della Lega, finora il partito più spiato in Italia. Anche Forza Italia non dovrebbe avere riserve nel portare avanti il tema all’interno di un più ampio processo di riforma della giustizia orientata alla garanzia dei diritti.
Per la sinistra, la questione è delicata: minimizzare non sembra la strategia più efficace. Non a caso, esponenti del PD e del Movimento 5 Stelle protestano ogni volta che i loro membri sono spiati, come nel caso di Emiliano o Scarpinato. L’indignazione non può essere selettiva o unilaterale. La protezione dei dati personali non dovrebbe avere colori politici, e stabilire regole chiare dovrebbe essere un interesse comune.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.