Il 2025 non sembra aver portato buone notizie per l’Europa. Da una parte, l’incremento del costo del gas potrebbe impattare negativamente sull’industria europea e sulle economie domestiche dei suoi abitanti. Dall’altra, l’Austria si aggiunge alla lista dei paesi che affrontano turbolenze politiche, con un governo ancora non formato a più di tre mesi dalle elezioni, potenzialmente sotto la guida del Fpö di Herbert Kikl, un partito di destra estrema. Gustavo Piga, professore di economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, sottolinea: “In un contesto globale sempre più diviso in due poli, con la Cina quasi al pari degli USA in termini di produzione di ricchezza relativa al totale mondiale, l’Europa rischia di diventare un semplice argomento di discussione tra le grandi potenze”.
Crede sia possibile scongiurare questo scenario?
Non a breve termine, ma l’Europa ha la possibilità, se riesce a rivedere radicalmente il suo paradigma, di mutare il proprio destino a medio termine.
Cosa intende con un cambio radicale di paradigma per l’Europa?
Analizzando attentamente la situazione europea, emerge chiaramente un problema di base politico. In Europa si esalta spesso il valore della democrazia, ma sembra che le élite ne abbiano paura. È paradossale osservare come si temano i risultati elettorali. Un esempio lampante non è l’Austria, la Francia o la Germania, ma la Romania, dove il primo turno delle elezioni presidenziali è stato annullato senza che sia stata fissata una nuova data per il voto, a causa del successo di un candidato vicino alle forze populiste e percepito come filo-russo. È sorprendente notare che alcuni dei partiti sconfitti si siano opposti a questa decisione.
In Austria, tuttavia, il leader del partito di destra estrema potrebbe capitanare il nuovo governo…
Potrebbe farlo in coalizione con i conservatori dell’Övp. Ciò dipende dalla paura di nuove elezioni, in cui il Fpö potrebbe raccogliere ancora più consensi. Anche in Francia si cerca di evitare il ritorno alle urne con un governo debole. Questo dovrebbe farci riflettere sul perché i partiti “populisti” continuino a guadagnare popolarità.
Ha una spiegazione?
Si potrebbe pensare che la mancata osservanza della volontà popolare sia un motivo, ma il vero problema sono le politiche economiche. Non è un caso che uno dei problemi che l’Austria deve affrontare sia un piano di austerità che prevede tagli per circa 18-24 miliardi di euro. In Francia, Barnier è stato sfiduciato per aver tentato di approvare un piano da 60 miliardi. È chiaro che la politica economica europea rappresenta un’anomalia.
Perché parla di anomalia?
La politica fiscale di USA e Cina, con quest’ultima pronta ad aumentare il deficit per stimolare la domanda interna in risposta al protezionismo annunciato da Trump, contrasta fortemente con l’austerità europea, che danneggia i più deboli e favorisce il consenso verso partiti distanti dalle politiche di Bruxelles. Vedremo cosa succederà in Germania tra poco più di un mese. Nel frattempo, questo scenario ha creato un’opportunità per l’Italia.
In che modo?
Volenti o nolenti, in un’Europa priva di una vera leadership, l’Italia appare come un barlume di speranza, percepita come l’unica dotata di una leadership forte, come dimostrato anche dal riconoscimento del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Questo non significa che l’Europa debba essere al servizio degli USA, ma che l’Italia debba essere al servizio dell’UE, perché quest’ultima ha bisogno di ritrovare una direzione, cosa che non può fare attraverso estremismi e populismi, né con le politiche di austerità attuali. Mai come ora le dinamiche europee possono essere influenzate positivamente dalla leadership italiana.
Tuttavia, l’Italia è tra i paesi che stanno meglio applicando le nuove regole del Patto di stabilità che lei stesso ricorda essere austere…
Sì, il ministro dell’Economia e il Premier del nostro Paese hanno approvato la riforma del Patto di stabilità, più austero del precedente, anziché opporsi. Forse non era chiaro quanto fosse cruciale il nostro ruolo, mentre ora il nostro Paese gode di un ampio rispetto a livello internazionale. E il mondo sembra completamente diverso da allora. Per questo l’Europa deve riconsiderare tutto e abbandonare completamente il Patto di stabilità, rifiutandosi di porre al centro delle politiche economiche l’austerità, anche perché oltre alla sfida energetica c’è quella della difesa e della sicurezza che potenzialmente sottraggono risorse alla spesa sociale, cosa che inevitabilmente farà crescere i consensi per i populismi.
Bisognerebbe allora semplicemente aumentare il deficit/Pil come fanno Stati Uniti e Cina?
È necessario concentrarsi sulla revisione della spesa, che non significa tagliare la spesa, ma gli sprechi. Ma anche essere consapevoli che se ora c’è bisogno di investimenti pubblici nella difesa, questi devono essere realizzati in deficit. Solo l’Italia è attualmente in grado di guidare questa battaglia. E tanto al nostro Paese potrà essere riconosciuto dagli Stati Uniti se decidiamo di prendere in mano la situazione. Questa è l’opportunità di cui parlavo all’inizio di questa conversazione per far sì che tra dieci anni l’Europa possa essere al tavolo insieme ai leader globali e non semplicemente sul loro menù.
Ha appena parlato degli investimenti nella difesa, per i quali c’è la proposta italiana di non considerarli nel calcolo del deficit e del debito: quindi, non sarebbe necessario eliminare il Patto di stabilità…
Questa regola d’oro è migliore del debito comune finalizzato agli investimenti nella difesa, perché permette ai paesi che vogliono investire di farlo senza dover attendere l’unanimità. Tuttavia, le sfide che l’Europa affronta non sono limitate solo alla difesa, ma anche al cambiamento climatico e ad altri temi che richiedono maggiori spese pubbliche in un periodo in cui quelle private sono scarse, come dimostra la crescita della Spagna, che supera quella degli altri paesi dell’UE. Sono necessari quindi investimenti pubblici in vari settori e la sola regola d’oro sulla difesa non è sufficiente a contrastare i populismi: è necessaria una maggior presenza dello stato nell’economia nel prossimo decennio, come sta avvenendo negli USA e in Cina.
Aumentare il deficit e il debito non è penalizzante per le giovani e le future generazioni?
Credo che consegnare un continente più forte, non soggetto a invasioni straniere, ambientalmente più sicuro e da cui non è necessario emigrare per lavorare in certi settori all’avanguardia sia meno dannoso che pagare gli investimenti necessari a crearlo. Senza dimenticare che più l’economia cresce, più diminuisce il rapporto debito/Pil.
Nel parlare del pertugio che il nostro Paese può sfruttare mi pare abbia fatto riferimento alla necessità di una sorta di asse tra Italia e Stati Uniti. Può spiegarci meglio?
Quando Trump chiede qualcosa, come nel caso delle spese per la difesa, sembra che in Europa tutti siano pronti a soddisfare le sue richieste. Se il Presidente degli Stati Uniti, tramite l’Italia, dicesse all’Europa che deve cambiare le sue regole fiscali perché indeboliscono un alleato strategico, non credo che questa richiesta cadrebbe nel vuoto.
Proporre questa richiesta vorrebbe anche dire che gli Stati Uniti di Trump non sono isolazionisti, ma interessati a un’Europa economicamente e politicamente in salute…
Gli USA hanno bisogno di un commercio internazionale florido da cui trarre vantaggio. E questo può avvenire solo se l’Europa cresce in modo significativo, non come ha fatto per decenni, senza portare alcun beneficio Oltreoceano. Sono necessarie quindi politiche economiche simili a quelle attuate dagli Stati Uniti, con un deficit/Pil a livelli molto superiori a quelli previsti dal nuovo limite del Patto di stabilità per i prossimi 5-10 anni.
(Lorenzo Torrisi)
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.