DAZI UE: Il “test” decisivo che potrebbe ribaltare il PIL italiano!

Si intensifica l’attesa per le prossime mosse dell’Amministrazione Trump riguardo ai dazi, con annunci attesi per domani. Fabio Panetta ha evidenziato nel suo discorso sul bilancio della Banca d’Italia che “la situazione economica europea, già affaticata da una stagnazione del settore manifatturiero, è particolarmente vulnerabile a causa della sua dipendenza dal commercio internazionale”. Inoltre, il Governatore della Banca d’Italia ha messo in luce come “l’incremento dell’incertezza, principalmente legata agli annunci spesso ambigui sulle politiche commerciali statunitensi, necessiti di prudenza nella gestione dei tassi di interesse” da parte della BCE. Abbiamo richiesto un parere a Guido Gentili, ex direttore del Sole 24 Ore.



Quali sono le attese nei confronti dell’Amministrazione Trump e dell’UE in termini di dazi?

La questione è attualmente in fase di apertura e l’esito è incerto, dato che la nuova Amministrazione USA ha mostrato un approccio di alternanza tra rallentamenti e accelerazioni, come dimostrato anche nei rapporti con Russia e Ucraina. L’UE, da parte sua, deve evitare di apparire disunita: l’inizio di negoziati bilaterali tra USA e singoli stati membri potrebbe minare l’autorità di Bruxelles.



Uno dei principali problemi per l’UE è rappresentare 27 economie molto diverse. Abbiamo sentito anche Tajani, che non è accusabile di sovranismo, chiedere di evitare contro-dazi sul whiskey americano per proteggere i vini italiani…

Il maggior problema per l’UE riguarda i contro-dazi che potrebbero essere necessari. Questi dipendono dall’intensità dell’azione tariffaria che l’Amministrazione Trump deciderà di intraprendere. La Casa Bianca ha dimostrato di poter cambiare rapidamente direzione, in maniera sia positiva sia negativa. Sarà necessario attendere, ma certamente sarebbe problematico per l’Europa non essere in grado di implementare una risposta coordinata.

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Panetta ha anche sottolineato un altro rischio legato ai dazi: l’interruzione della riduzione dei tassi di interesse da parte della BCE.

L’aumento dei dazi porta a una maggiore incertezza che già di per sé rappresenta un ostacolo alle decisioni di politica monetaria. Esiste il rischio che l’inflazione possa crescere negli USA e che questo effetto si estenda globalmente. Di conseguenza, per la BCE il percorso per ridurre i tassi si complica: ci si potrebbe aspettare che almeno li mantenga invariati.

Entro il 10 aprile il Governo dovrà presentare la prima Relazione annuale sui progressi nell’attuazione del Piano strutturale di bilancio, il documento che sostituisce il Def, dove verrà anche fornita una stima sull’andamento del Pil. I dazi possono creare problemi anche in questo ambito?

Una stima sarà necessaria e la differenza tra una crescita minima e una crescita dell’1% è significativa. I dazi potrebbero avere un impatto negativo sull’export italiano verso gli USA, che ammonta a circa 67 miliardi di euro. Considerando che il Pnrr non sembra essere efficace come previsto, non ci si aspetta una previsione ottimistica, soprattutto perché il Governo ha finora adottato un approccio cauto e non sembra intenzionato a cambiarlo: l’attuale contesto non lascia spazio a manovre azzardate.

Esistono preoccupazioni sul fatto che l’aumento degli investimenti nella difesa possa influire sul costo del rifinanziamento del debito. L’Italia può stare tranquilla riguardo la situazione delle finanze pubbliche?

Dato che il nostro paese è tra gli ultimi in Europa per spesa in difesa rispetto al Pil, è necessario intervenire. L’approccio prudente finora adottato ha permesso di accumulare una certa “riserva”, come evidenziato anche dai dati sul deficit previsto per il 2024. L’Italia sembra in grado di affrontare questa sfida senza ripercussioni negative sullo spread.

Crede che nei prossimi mesi ci sarà pressione per cambiare le regole fiscali europee?

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Il Patto di stabilità è stato recentemente aggiornato e sono state attivate clausole di salvaguardia per permettere investimenti nella difesa. Le pressioni per ulteriori modifiche ci saranno, anche se sarà difficile mantenere un approccio troppo rigido. Tuttavia, l’UE probabilmente gestirà queste pressioni con cautela. Non è escluso che nel frattempo si possa arrivare a un debito comune per le spese in difesa, come suggerito dalla von der Leyen. Questo è diventato più plausibile dopo le recenti riforme in Germania riguardo al limite di debito, un cambiamento che sembrava improbabile fino a poco tempo fa.

Considerando la situazione attuale, il Governo dovrà dare segnali alle imprese?

È stato osservato che, dato che Transizione 5.0 non ha portato i risultati sperati, sarebbe opportuno riattivare il più consolidato sistema di incentivi agli investimenti rappresentato da Industria 4.0. Vista la penalizzazione che le aziende italiane potrebbero subire a causa dei dazi USA, si dovrebbe procedere in questa direzione. Inoltre, Governo, sindacati e imprese dovrebbero intervenire anche su un altro fronte.

Quale?

Quello dei bassi salari reali, che sono collegati ai dati allarmanti sul calo delle nascite. Con gli attuali stipendi di ingresso, i giovani faticano a formare una famiglia. Bisognerebbe quindi interrogarsi sulla validità del sistema di contrattazione attuale e valutare se non sia necessaria una riforma. Servirebbe un accordo tra le parti sociali, ma prima dovrebbero essere superate le contrapposizioni e le divisioni, cosa non semplice in questa fase considerando i referendum promossi dalla Cgil a giugno.

(Lorenzo Torrisi)

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