Il 2018 ha visto una ulteriore novità nel framework normativo europeo. Secondo la Direttiva 2014/95/EU, che modifica la Direttiva 2013/34/EU, le grandi aziende devono pubblicare dei dati sulle politiche interne relative a:

  • Protezione dell’ambiente;
  • Responsabilità sociale e gestione del personale;
  • Rispetto dei diritti umani;
  • Anti corruzione;
  • Diversità all’interno della società, in termini di età, genere, formazione, background professionale.

In tutta onestà, sappiamo che l’attenzione alla sostenibilità e ai temi sociali non è un concetto nuovo. Tante aziende, in modo volontario, hanno sposato la Sostenibilità e Responsabilità Sociale, anche con la pubblicazione di Bilanci di Sostenibilità che, partendo da valori e principi definiti come prioritari per l’azienda nei Codici Etici, nei Codici di comportamento, nei Modelli di Organizzazione, gestione e controllo e in altri strumenti interni, facevano lo sforzo di valorizzare costi e benefici delle politiche introdotte.

Responsabilità Sociale d’Impresa

Già nella metà del 1900, si sviluppava una visione dell’impresa come centro vitale di potere, in grado di condizionare la società. La responsabilità sociale veniva definita come l’obbligo degli amministratori a perseguire quelle politiche, prendere quelle decisioni o seguire quelle linee di azione desiderabili nei termini degli obiettivi e dei valori della nostra società.

Negli anni ’60 – ’70, con il boom economico, si consolida il concetto che l’assunzione di decisioni socialmente responsabili possono dare luogo a un processo di accettazione sociale, che può portare a vantaggi economici nel lungo periodo.

Già negli anni ’90, si sviluppano filoni di studio centrati su: finanza sostenibile; correlazione tra RSI e performance economiche; rendicontazione sociale. La definizione di come potenziare il benessere economico e sociale era comunque aperta e, soprattutto, l’implementazione di politiche ‘responsabili’ non era un obbligo, ma passava attraverso i Codici di Autodisciplina e processi decisionali interni alle società.

L’intervento del regolatore: come e perché

Ad ottobre 2017, pubblicavamo su questo sito “La diversity per ESMA ed EBA”, in cui raccontavamo come una survey dell’EBA (2016) mostrava risultati estremamente negativi sulla gestione della diversità di genere all’interno delle società finanziarie in Europa.

A luglio 2016, riportavamo del lavoro della SEC per modificare le regole di disclosure, al fine di far includere nell’informativa delle società quotate anche tematiche di diversity in termini di razza, sesso, etnia dei propri amministratori.

Almeno per due aspetti, l’intervento del regolatore si è mostrato necessario in questi ultimi tempi.

L’ampiezza del tema di ‘responsabilità sociale’ e la non omogenea scelta delle priorità non garantisce il rispetto di un numero minimo di misure, che possono essere ritenute principi fondamentali nel perimetro dell’Unione o a livello globale.

Nel frattempo, nel settembre del 2015, veniva aperto il fascicolo dell’Agenda globale 2030, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e la Commissione Europea pubblicava nel 2016 la sua comunicazione su “Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe” (COM (2016) 739 final).

Tra gli obiettivi:

  • Il n° 12: “Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo”;
  • il n. 5 “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Questi obiettivi sono presenti anche nell’accordo di Parigi sul clima, in cui si sottolinea come una maggiore trasparenza nei reporting porti a flussi finanziari più coerenti, al fine di ridurre le emissioni di gas e resistere ai cambiamenti climatici.

In parallelo, cresce anche l’attenzione del regolatore sui rischi di condotta e reputazionale (si veda ad esempio il presente link), dati i costi sociali e le conseguenze negative sulla fiducia soprattutto per le Grandi aziende.



La Comunicazione della Commissione Europea

Dunque, a metà 2017, la Commissione europea pubblica la Comunicazione “Orientamenti sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario (Metodologia per la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario)”, con cui si definiscono i seguenti principi:

  • gli obblighi di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario si applicano ad imprese di grandi dimensioni, con più di 500 dipendenti;
  • occorre riportare informazioni utili, pertinenti, sintetiche, necessarie per comprendere l’andamento economico, i risultati, la posizione delle società, l’impatto delle loro attività;
  • nel valutare la rilevanza delle informazioni occorre tener conto di diversi fattori, quali:
    • modello aziendale, strategia e rischi principali;
    • principali questioni settoriali;
    • interessi ed aspettative delle parti interessate;
    • impatto delle attività;
    • politiche pubbliche e stimoli normativi;
  • le informazioni riportate possono essere rese più accurate ed attendibili, ad esempio attraverso prove robuste o una assicurazione esterna indipendente;
  • devono almeno contenere le seguenti categorie di contenuti:
    • questioni ambientali, sociali e attinenti al personale;
    • il rispetto dei diritti umani;
    • aspetti legati alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.
  • occorre evidenziare i risultati delle politiche adottate.