Il rischio di riciclaggio connesso alle piattaforme di crowdfunding può essere mitigato in presenza di un Sistema caratterizzato da una Governance dotata di adeguati presidi e controlli.

Le piattaforme di crowdfunding, quale strumento innovativo che permette ai fundraiser di incontrare un ampio pubblico di potenziali finanziatori, potrebbero essere soggette a rischio di riciclaggio se non adeguatamente monitorate.

In particolare, tali piattaforme pur nascendo con la finalità principale di finanziare progetti imprenditoriali e creativi, potrebbero essere utilizzate illecitamente con il solo fine di occultare l’origine dei fondi di finanziamento. Tali fondi, ad esempio, potrebbero essere restituiti agli investitori laddove destinati a finanziare progetti non in grado di raggiungere il target di raccolta predefinito. Ciò comporterebbe uno schema collusivo tra l’ideatore del progetto e gli investitori, oppure tra i gestori della piattaforma e gli investitori al fine di riciclare denaro.

Il rischio di riciclaggio connesso alle piattaforme di crowdfunding può aumentare tenuto conto di diversi fattori, quali:

  • due diligence limitata o inesistente sugli ideatori dei progetti ovvero sui progetti stessi;
  • breve durata dell’investimento, infatti un periodo di investimento più lungo, tendenzialmente crea meno attrazione per la gestione di attività criminose, che invece trovano incentivi e opportunità di business in investimenti di breve durata in quanto consentono di riciclare velocemente il denaro;
  • la possibilità di fenomeni di early redemption degli investimenti.

Tuttavia, tali fattori di rischio possono essere certamente mitigati in presenza di un Sistema caratterizzato da una Governance dotata di adeguati presidi e controlli in materia di antiriciclaggio. Tali presidi e controlli, infatti si tradurrebbero in obblighi di adeguata verifica di tutti i soggetti coinvolti nell’attività di finanziamento, riducendo il rischio di riciclaggio.

Si pensi in Italia alle stringenti normative di derivazione europea in materia antiriciclaggio a cui sono assoggettati gli intermediari finanziari (Banche, Società di Intermediazione Mobiliare) di cui devono avvalersi i gestori delle piattaforme per detenere somme di danaro degli investitori ovvero per eseguire gli ordini per la sottoscrizione di strumenti finanziari offerti sui propri portali; o ancora alle disposizioni introdotte dalla PSD (Payment Service Directive) relativamente ai social lender e che sono volte a garantire il rispetto di requisiti prudenziali proporzionati ai rischi operativi e finanziari cui sono esposti tali organismi nel corso della loro attività.

In Europa, il Regulator italiano è stato il primo a disciplinare il settore del crowdfunding. In particolare, nel 2013 la Consob è intervenuta dettando un’apposita disciplina attraverso il “Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line”.

Tra le principali novità introdotte da tale Regolamento, rileva l’identificazione del finanziatore attraverso l’istituto bancario presso cui è acceso il conto intestato alla società finanziata e che materialmente detiene le somme versate dall’investitore, oppure attraverso la SIM presso cui viene eseguito l’ordine di investimento. Si tratta di presidi che garantiscono un’adeguata verifica dei soggetti coinvolti nell’attività di finanziamento, riducendo il rischio di riciclaggio.

Per quanto riguarda invece il Social Lending, vera e propria forma di finanziamento che offre la possibilità di realizzare prestiti tra privati, Banca d’Italia è intervenuta a novembre dello scorso anno emanando le “Disposizioni in materia di raccolta del risparmio da parte dei soggetti diversi dalle banche”.

Alla luce di tali disposizioni, le società che gestiscono piattaforme di Social Lending dovranno creare conti di pagamento per la ricezione e movimentazione dei fondi dei prestatori ai fini dell’esclusione dell’applicabilità della normativa relativa alla raccolta del risparmio tra il pubblico.

Questa eccezione richiederà, pertanto, ai gestori delle piattaforme di Social Lending di ottenere l’autorizzazione per poter operare in qualità di Istituti di Pagamento, Istituti di Moneta Elettronica oppure come intermediari finanziari ex art. 106 TUB, autorizzati a prestare servizi di pagamento, a cui si applica, pertanto, la disciplina in materia di antiriciclaggio di cui al Decreto Legislativo n. 231/2007.

Alla luce di quanto sopra, emerge come l’attuale sistema italiano di Governance nel settore del crowdfunding garantisce adeguati presidi volti ad attenuare il rischio di riciclaggio, spostando l’onere di adeguata verifica degli investitori sugli intermediari bancari e finanziari attraverso cui i fondi vengono messi in circolo nel Sistema.

Infine, si rileva come l’Ufficio di Informazione Finanziaria (UIF), con una comunicazione del 18 aprile 2016, ha individuato delle modalità innovative attraverso cui il finanziamento del terrorismo può essere realizzato mediante la raccolta di fondi on line utilizzando le piattaforme di crowdfunding.

All’interno di tale comunicazione la stessa UIF, al fine di monitorare potenziali operazioni sospette, ha richiamato  lo schema di anomalia emanato dalla stessa Unità il 18 febbraio 2014 in tema di operatività con carte di pagamento, nonché la comunicazione dell’Unità sull’utilizzo anomalo di valute virtuali del 30 gennaio 2015. Tali schemi e comunicazioni esplicative devono rappresentare un ausilio per gli intermediari finanziari al fine di individuare possibili condotte di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo, così da contribuire a mappare le molteplici fattispecie criminose che potrebbero caratterizzare dei settori ancora giovani come quelli del crowdfunding e del Social Lending.


A cura di Comply Consulting 

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