Il governo e il settore bancario non sembrano ancora aver trovato un accordo definitivo sulla questione degli extraprofitti. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, guidato da Giorgetti, è alla ricerca di strategie per incrementare le entrate statali, soprattutto in previsione di un bilancio 2025 che si preannuncia complesso e con margini di manovra ridotti nei prossimi anni. I banchieri, d’altra parte, resistono fermamente a qualsiasi normativa fiscale che possa imporre prelievi forzati dai loro profitti: l’introduzione di una tassa sugli extraprofitti è stata scartata, sia per l’opposizione dell’Associazione Bancaria Italiana sia per il dissenso di gran parte delle forze di maggioranza, inclusi forzisti e leghisti. Nonostante ciò, non si osservano progressi significativi in questa direzione.
Recentemente, avevamo discusso di una proposta avanzata dall’associazione che rappresenta le banche italiane. Questa proposta si limitava a delegare al presidente l’incarico di cercare una soluzione “temporanea, predeterminata e non retroattiva”. Nel frattempo, come riportato dal Corriere della Sera, è emersa un’altra possibilità sul tavolo del Ministero dell’Economia: l’introduzione di una mini-tassa sulle stock options dei top manager delle banche italiane, estendibile potenzialmente anche ai dirigenti dei settori energetico e assicurativo.
La tassa sulle stock options dei manager delle banche: Unimpresa, “Misura inutile”
Per comprendere meglio la questione, è importante sapere che le stock options sono un tipo di ‘premio’ per i manager di banche, assicurazioni e società quotate, che ricevono una parte delle azioni dell’ente per cui lavorano. Queste azioni possono aumentare o diminuire di valore a seconda delle fluttuazioni di mercato e, se vendute nel momento opportuno, possono trasformarsi in investimenti molto lucrativi. L’idea proposta consisterebbe nel tassare la vendita di queste stock options, generando (secondo stime del Messaggero) circa 1 o 1,2 miliardi di euro immediatamente disponibili per il Fisco e le casse dello Stato.
L’ipotesi ha suscitato l’interesse delle banche, tuttavia, come evidenziato da Unimpresa in un comunicato recente, esiste il rischio che non si raggiungano gli effetti desiderati: per i detentori di stock options, si tratterebbe di un piccolo prelievo aggiuntivo (attualmente pagano una addizionale del 10%, che potrebbe aumentare di uno o due punti percentuali) che sarebbe quasi impercettibile, soprattutto considerando “l’extravalutazione dei titoli in Borsa negli ultimi periodi”, come spiega Unimpresa; per lo Stato, invece, sarebbe “un bluff, poiché l’impatto sulle entrate sarebbe irrisorio“.
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Alessandro Conti ha conseguito una laurea in ingegneria finanziaria presso il Politecnico di Torino, con una specializzazione in tecnologie finanziarie. Ha lavorato come consulente per diverse start-up fintech e istituzioni bancarie. La sua specializzazione riguarda la regolamentazione dei servizi di pagamento e l’implementazione di soluzioni conformi alle nuove normative europee, in particolare PSD2. Su ComplianceJournal.it, Alessandro condivide le sue conoscenze sulla digitalizzazione dei servizi finanziari e sui rischi emergenti legati alle innovazioni tecnologiche nel settore bancario.