di Patrizia Lionetto, Senior Auditor presso Société Générale, e Michela Vignuta, Compliance Officer di FCA Bank

Ogni eventuale parere espresso è personale e non vincola in alcun modo le aziende.

Prima Parte

Le decisioni su dove allocare gli investimenti nel corso della storia si sono basate su diversi criteri, in primis sul rendimento finanziario e sulla diversificazione in base al rischio. Tuttavia, ci sono sempre stati molti altri criteri per decidere dove collocare i soldi, da considerazioni politiche e religiose, sino ad arrivare negli ultimi tempi a valutazioni di impatto eco-sostenibile. Questo driver sta piano piano diventando più rilevante agli occhi degli investitori, delle controparti istituzionali e della politica.

Ma quali siano gli impatti di questo cambiamento sulle funzioni di controllo ancora deve essere valutato a tutto tondo, e questo sarà lo sforzo dei tre contributi che pubblichiamo sull’argomento.

Dagli investimenti sostenibili al consolidamento nei prodotti e processi delle società finanziarie

Quando si parla di ESG, si lega spesso l’acronimo al concetto della “finanza sostenibile”. Questo non è sbagliato, ma è sicuramente limitativo.

L’associazione deriva in larga parte dal fatto che lo sviluppo di investimenti che tengano conto non solo di criteri economico-finanziari nella loro valutazione, ma anche di fattori di natura ambientale, sociale e di governance, è stato il primo tangibile ambito in cui si è progressivamente applicato questo processo di cambiamento.

Sebbene in modo molto soft, queste teorie hanno iniziato a svilupparsi già una quindicina d’anni fa. Ma si fissa generalmente il 2015 come prima pietra, avvio delle attività sulla tematica, quando i delegati di 195 Paesi si sono ritrovati a Parigi per partecipare al “Cop21”, firmando l’accordo sul clima per favorire un’economia e una società più sostenibili.

Il tema della finanza sostenibile entra a far parte dell’agenda della Commissione Europea nel 2016, con l’istituzione del “High Level Technical Expert Group on sustainable finance”, gruppo di esperti che ha supportato l’emissione del ben più noto Piano d’Azione presentato nel 2018.

La road map prevede meccanismi di standardizzazione, in primo luogo delle definizioni; la creazione di “marchi”, che sono stati chiamati anche “ecolabel”, per certificare e/o rendere riconoscibili i prodotti che si ispirano e rispettano i criteri ESG; obblighi di reporting; obblighi per le imprese di assicurazione e di investimento di consigliare i clienti in base alle loro preferenze in materia di sostenibilità; fino ad arrivare all’integrazione di tali principi anche nei requisiti prudenziali delle società finanziarie.

Il vero cambiamento radicale a nostro avviso sarà non considerare più l’ESG come una etichetta che identifica un prodotto specifico o un processo a sé stante, all’interno dell’organizzazione aziendale. Al contrario, i fattori ESG dovranno divenire criteri fissi e pervasivi dei numerosi processi delle società e parte integrante della valutazione dei rischi che normalmente si considerano nel sistema dei controlli interni.

L’EBA Action Plan per una finanza sostenibile

A supporto di ciò, si può leggere la pubblicazione dell’EBA, di dicembre 2019, in cui viene descritta la road map per l’applicazione di principi di sostenibilità a livello Europeo (“EBA action plan on soustainable finance”).

Molto chiaramente l’EBA, sin dall’incipit del documento, chiede che le società finanziarie comincino a porre in essere azioni su almeno 3 aree, già prima che il quadro normativo venga definito:

These expectations emphasise three areas where institutions are encouraged to consider taking steps, (strategy and risk management, disclosure, and scenario analysis), before the EU legal framework is formally updated and the EBA regulatory mandates delivered”.

Si parte quindi dall’alto, dalla strategia, che identifichiamo come primo binario di questa analisi.

1. Primo binario: la strategia

Questo primo tassello può essere facilmente legato a una delle componenti della nuova versione del COSO framework (il “risk, strategy & objective-setting“).

Il framework richiede che ciascuna organizzazione consideri, ai fini di una sua efficace implementazione, le proprie peculiarità in termini di strategia, modello organizzativo, cultura, business model, strumenti finanziari disponibili, settore di appartenenza, ecc. E questo si ribalta poi anche sulle attività e sull’approccio che l’audit e la compliance devono avere, nei loro rispettivi ambiti di competenza e nella valutazione dei rischi.

La definizione della strategia deve avere almeno 4 pilastri. Da un lato essa deve fungere da piano, linea guida per le scelte operative; in tal senso, è importante che siano chiariti gli obiettivi per l’applicazione dell’ESG, al fine di avere una chiara e coerente applicazione operativa.

Deve poi fungere da modello di comportamento, fissare una visione e definire una cultura aziendale. Anche questo sarà fondamentale al fine di portare la struttura organizzativa a prendere decisioni coerenti con i principi di alto livello.

Ancora, deve definire il proprio posizionamento, anche fissando regole stringenti se le ritiene importanti, come potrebbe essere l’esclusione al 100% di una determinata fonte energetica o la presa di posizione su alcune tematiche di genere o ponendosi come portatore di interessi nell’ambito sociale e politico in cui l’azienda opera.

Infine, la strategia deve definire una prospettiva. Dove voglio arrivare nel medio lungo periodo. Il periodo è in realtà fissato dalla Agenda 2030, quindi i prossimi dieci anni; i macro-indirizzi sono fissati con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals). Ma le singole società avranno l’onere di definire il come:

  • rivedendo mission e vision, ed adattando la cultura aziendale;
  • integrando le tematiche ESG nell’analisi e nei processi decisionali;
  • promuovendo un azionariato attivo, che incorpori le tematiche ESG nelle politiche e nelle pratiche societarie;
  • prevedendo risorse e responsabilità adeguate;
  • prevedendo una adatta comunicazione e disclosure;
  • adeguando i meccanismi di compensation; le politiche del personale; i piani formativi;
  • laddove esistente, sarà necessaria una integrazione con il CSR framework;
  • allineando di conseguenza tutte le policy e procedure.

Un ulteriore step che spinge verso questa direzione, è visibile già nella proposta di modifica della CRD (Capital Requirements Directive), lanciata dall’EBA il 31 Luglio, che si chiuderà a fine Ottobre e che introduce il punto 24, in capo al Management Body:

When setting, approving and overseeing the implementation of the aspects listed in paragraph 23 the management body should aim at ensuring a sustainable business model that takes into account all risks, including environmental, social and governance risks“. Il paragrafo 23 raccoglie la lista delle responsabilità dell’organo di gestione, dalla approvazione della strategia, in termini di business e di rischi, al disegno conseguente della governance.

2. Secondo binario: il risk management

In secondo luogo, l’EBA chiama in causa il Risk Management, come dipartimento chiave per una serie di attività, che, a leggere bene, non riguarderanno solo la definizione di analisi di scenario. Anche il sistema di identificazione delle perdite operative, il Risk Appetite Framework con la misurazione dei rischi e la definizione di soglie di tolleranza, la definizione di KRI, le attività di monitoraggio dei requisiti di capitale, il monitoraggio del rischio di credito e molto altro potrebbero richiedere revisioni dei processi al fine di integrare i fattori ESG.

Laddove presenti modelli sviluppati internamente, la ricostruzione di serie storiche adeguate a poter ricalibrare le variabili, includendo anche un focus ESG, potrebbe essere una delle attività più difficoltose.

Così come la valutazione di quanto il tasso di default possa o meno essere correlato a variabili ESG. O ancora, la misurazione di come i rischi ESG possano comportare riduzioni di capitale e di come debbano essere integrati nella strutturazione di scenari e stress tests.

3. Terzo binario: la concessione del credito e la valutazione della clientela

È però attraverso la revisione nei processi della concessione del credito che, dal nostro punto di vista, si porterà l’applicazione del ESG su ben altri piani, oltre a quelli della finanza sostenibile in senso stretto.

L’intento della Commissione Europea è infatti quello di sfruttare il veicolo delle banche e delle imprese di assicurazione come leva per incrementare l’utilizzo di pratiche sostenibili nell’intera economia. A questo scopo, è previsto uno studio della fattibilità di una ricalibrazione dei requisiti patrimoniali delle banche con il cosiddetto “fattore di sostegno verde”, per quegli investimenti che, giustificati sotto il profilo del rischio e della tenuta della stabilità finanziaria, associano elementi tangibili di sostenibilità.

Anche i rilevanti fondi che l’Unione Europea sta stanziando per la ripresa post-COVID19 dovranno essere utilizzati ed investiti nei vari Paesi prevedendo allocazioni che favoriscano il raggiungimento degli obiettivi Europei per l’Agenda 2030. In tanti concordano che proprio il COVID19 darà una accelerata alle attività della Commissione, per una piena applicazione del piano, spingendo piuttosto che accantonando il progetto della sostenibilità.

Alcune imprese più dinamiche e attente a queste evoluzioni si sono mosse alla ricerca di modalità che possano dimostrare al sistema finanziario ed al mercato la loro propensione alla sostenibilità. Si ritiene, infatti, che la capacità di alcune aziende di essere maggiormente proattive nei confronti di queste politiche, dimostra la loro maggiore flessibilità e resilienza da un lato e garantirebbe maggiore accesso a fonti di finanziamento a prezzi più bassi dall’altro. Questo porterebbe valore aggiunto e vantaggi competitivi.

In questo momento, senza standard ufficiali definiti dall’UE, molto spesso queste certificazioni passano attraverso lo strumento degli ISO (come ad esempio la ISO 14001, per la gestione ambientale), oppure attraverso documentazione delle aziende come le Relazioni di CSR, oppure attraverso certificazioni di enti che però non mostrano ancora un adeguato livello di standardizzazione.

L’idea, in realtà, è di sviluppare strumenti che permettano una maggiore omogeneità per supportare la valutazione di tali politiche da parte degli Istituti Finanziari. Il sistema tradizionale dei rating non verrà messo in discussione, ma avrà sicuramente bisogno di adattamenti o integrazioni per tener conto anche di quello che sarà il rating ESG.

Questo dovrebbe essere assegnato da società indipendenti, fornendo un giudizio sintetico che certifica la solidità di un emittente, di un titolo, di un fondo, di una azienda rispetto a problematiche ambientali, sociali e di governance. Anche se, grazie alle nuove tecnologie, ci sono anche esperimenti di aziende che si stanno auto-certificando, utilizzando lo strumento della blockchain.

In queste valutazioni, occorrerà tenere a mente anche che le strategie di implementazione dei fattori ESG possono essere di vario tipo.

  • Alcune aziende fissano delle esclusioni di elementi considerati negativi per la società (commercio di droghe, armi, pornografia ecc.);
  • Altre partono da elementi vietati da norme e convenzioni internazionali (diritti umani, corruzione, normative sul lavoro).
  • Ancora ci sono aziende che vogliono dimostrarsi attive in determinati settori ambientali o etici, puntando a divenire best in classe in un determinato ambito o importanti influencer a livello politico o sociale (temi possono essere: uso dell’acqua, mobilità nelle città, efficienza nel consumo delle energie, tematiche legate agli anziani, ricerca, ecc).
  • In ultimo, si può individuare una strategia di ‘integrazione’, legando le scelte ESG ad ogni singola decisione di investimento o produzione dell’azienda.

Come dicevamo, tale processo è ancora in una fase troppo embrionale per sapere come sarà definito nel concreto, e cosa modificherà in termini di revisione dei processi di approvazione del credito e corrispondenti competenze e risorse da mettere in campo. Ma sarà importante che l’eventuale rating permetta di valutare non tanto la singola scelta strategica definita dalle aziende (input), quanto l’effettivo impatto e risultato di tali scelte (output).

Sarà anche fondamentale capire, e per il momento nessuno ha approcciato in modo coraggioso e trasparente il tema, se ed eventualmente quanto gli aspetti “ecologici”, “sociali” e di “governance” dovranno entrare a far parte delle decisioni di credito o nell’offerta di servizi di una società finanziaria.

Evidentemente, questa tematica potrebbe creare per alcuni versi difficoltà e conflitti.

Solo a titolo esemplificativo, immaginiamo una operazione di acquisizione. Dovrà la società finanziaria che supporta il cliente nel deal chiedere che aspetti legati all’occupazione o alla parità di genere o ai consumi energetici e livelli di inquinamento vengano definiti ed integrati nell’Information Memorandum e che vengano considerati nella definizione del prezzo delle azioni? Se sì, come?

Evidentemente, se da un lato questi sono aspetti che il regolatore dovrà prima o poi affrontare, dall’altro, le stesse società finanziarie dovranno porsi dei quesiti appropriati e sufficientemente dettagliati, nel definire e declinare la propria strategia sui fattori ESG.

Fattori ESG e gli altri rischi per gli Istituti Finanziari

Oltre all’impatto sul rischio di credito, adeguate valutazioni saranno necessarie anche sugli altri rischi che sono alla base del risk framework di una società finanziaria.

Il rischio operativo potrebbe essere impattato in termini di frodi. Ad esempio, truffe potrebbero verificarsi sull’effettivo rispetto di criteri ESG da parte dei clienti valutati positivamente nel processo del credito; oppure, nella corretta valutazione di un bene immobile, nell’ambito del real-estate. Altri rischi operativi potrebbero essere legati al processo di selezione dei fornitori. Un altro esempio potrebbe essere l’eventuale perdita di opportunità di accesso a sgravi fiscali o partecipazione a bandi pubblici, per la mancanza di adeguati requisiti in termini di ESG.

I rischi di mercato, se applicabili, possono riguardare fondi di investimento che non dimostrano di seguire politiche sostenibili.

Anche i rischi di concentrazione potrebbero richiedere una revisione dell’analisi con un’ottica ESG, incrociando questi elementi con le più classiche analisi per area geografica e settore economico.

Possono poi essere rilevanti gli impatti sul rischio strategico e su quello reputazionale. Solo a titolo esemplificativo, è possibile avere impatti negativi in caso di clienti che, utilizzando l’ESG solo per obiettivi definiti di social-washing o di green-washing, dovessero apparire sulle prime pagine dei giornali per attività illegali o contrarie ai principi enunciati nei loro reporting non finanziari, provocando un effetto indiretto anche sull’Istituto Finanziario.

L’approfondimento continua

L’attività normativa a livello europeo è in continua evoluzione. Basta pensare che il 16 luglio sono stati pubblicati, in parallelo, i seguenti aggiornamenti:

Il 17 luglio, invece, la Commissione Europea ha pubblicato il draft “Supplementing Regulation (EU) 2016/1011 of the European Parliament and of the Council as regards the explanation in the benchmark statement of how environmental, social and governance factors are reflected in each benchmark provided and published“, relativo al regolamento sui benchmark.

Dedicheremo, dunque, la seconda parte di questo contributo proprio all’evoluzione della normativa e al ruolo delle funzioni di Compliance; la terza parte, invece, sarà destinata a un’analisi del COSO framework e degli impatti sulle funzioni di Internal Audit, rispetto ai fattori ESG.